martedì 21 febbraio 2017

Margherita Marsili conosciuta come"La bella Marsilia"- una vicenda del XVI secolo






                                                                         ROXELANA 
                                               ovvero Margherita Marsili una vicenda del XVI secolo
                                                            di Goffredo Ademollo Valle

"La bella Marsilia". Si tratta di una storia avvincente degna della trama di un film. Inizia in Maremma, sui monti dell'attuale  Parco naturale della Maremma e si conclude a Costantinopoli, nella odierna  Istanbul. Molti hanno ritenuto che si tratti solo di una leggenda ma sbagliano di molto: Margherita Marsili fu veramente rapita dall'avito Castello del Collecchio, in Maremma  e portata come schiava a Costantinopoli dal pirata Ariadeno Barbarossa. Andata in dono al Sultano Solimano I detto "Il Magnifico" che se ne innamorò. Riscattò la sua condizione di schiava e divenne la Sultana Roxelana, la figura femminile più importante e più temuta  nella storia dell'Impero Ottomano. E' tutto vero!  
Ho pensato più volte di scrivere un romanzo su Margherita Marsili diventata Sultana e conosciuta nella storia con il nome di Roxelana. Se un giorno lo dovessi fare vorrei iniziare rifacendomi a quella bellissima pagina delle Passeggiate Romane del Gregorovius che descrivono la morte del mio antenato Cardinale Luigi Lambruschini. Scriverei un Incipit così:
"Roxelana è morta. Il suo corpo giace immobile, rigido, disteso nel letto funebre, avvolto in uno sfarzoso abito rosso; i capelli raccolti dietro la nuca mettono a nudo il volto perfettamente ovale, ora pallidissimo, solenne, marmoreo; ha assunto un aspetto ancor più autoritario, severo, austero. Il sorriso che la caratterizzava è ormai spento e ora incute ancor più timore di quando viveva. Era la Hürrem Sultan, la figura femminile preminente, suprema, del grandioso  Impero ottomano. Sono trascorse poche ore dal tragico momento del trapasso; nella stanza, odorosa di incenso, c'è solo un uomo, il Sultano. Ha voluto rimanere da solo con lei, è  l'unico che l'ha  veramente amata appassionatamente. La sua costernazione è sincera; adesso sta soffrendo, si sente ferito come un cigno quando perde la sua compagna. L'ha sempre assecondata, esaudita fino agli ultimi attimi di vita. Per lei ha sfidato le rigide regole della tradizione ottomana e della religione islamica; le ha trasgredite sposandola: erano circa centocinquanta anni che un sultano non contraeva matrimonio. In questa circostanza le ha violate di nuovo: le ha concesso il rito dell'estrema unzione; il  frate francescano del convento di Galata è appena uscito. A Galata, piccola città fortificata di epoca bizantina, situata a nord di Costantinopoli, sull'altra sponda del Corno d'Oro, si trovano tre conventi di frati cattolici dove si dice messa tutti i giorni. Non gli è consentito di avere l'organo né le campane, ma per il resto sono rispettati anche perché hanno goduto della protezione diretta della  Sultana , e infatti perché nessuno possa recargli offesa, sulla porta delle loro chiese stanno due giannizzeri di guardia, armati di bastone.
Roxelana aveva desiderato morire secondo il rito religioso della propria terra di origine. Era stata assistita dal frate cattolico e aveva ottenuto il sacramento dell'Olio Santo. Non lo aveva chiesto espressamente ma lo aveva fatto capire . Il suo sguardo, intenso, volitivo, determinato, riusciva a comunicare al Sultano i pensieri con maggiore efficacia  delle parole e lei sicura di sé, aveva sempre confidato  nella sensibilità e nella perspicacia del coniuge. Ancora una volta , seppure l'ultima, Solimano I il Magnifico, il Legislatore, l'ombra di Dio sulla terra,  aveva ceduto alla volontà della sua donna."

Ho deciso invece di scrivere, all'inizio del terzo millennio, solo alcune note che hanno lo scopo di onorare la verità storica e  fare un po’ di chiarezza sulla vita e sulle peripezie del personaggio Margherita Marsili alias Roxelana.
Ritengo che sia il momento di divulgare  parte dei risultati di una  mia ricerca e di alcuni studi che modificano e correggono alcune delle attuali conoscenze sulla storia dell'Impero ottomano del XVI secolo . Gli storici hanno fino a oggi, a mio parere,  fin troppo trascurato o sottovalutato la grandezza e il ruolo che assunse, intorno alla metà del  '500, il personaggio di Roxelana. Si tratta della  figura femminile più importante e prestigiosa della Storia dell'Impero ottomano. "Hürrem Sultan", Roxelana, l'unica donna sposata ufficialmente dal Sultano Solimano I detto "Il Magnifico" (in turco ottomano Muhtesem o Muhteshem, epiteto che tuttavia non fu mai usato dalla cancelleria indigena), "Il Legislatore"(Kanuni), l'Ombra di Dio sulla terra, "Sultano dei Sultani", "Conquistatore di tre continenti", che per amore di lei trasgredì  perfino le rigide regole della tradizione ottomana e della religione islamica.
Erano più di  centocinquanta anni infatti  che un Sultano non contraeva matrimonio. Quando il Sultano Beyazit I  fu sconfitto e fatto prigioniero, ad Angora, nel 1402, dal capo dei mongoli "Tamerlano", la Sultana, sua moglie, fu oltraggiata e violentata dalle milizie mongole. A seguito di questo fatto fu deciso che da allora in poi i Sultani non si dovessero più sposare. Oltretutto, nel caso di Roxelana, si trattò anche di un matrimonio con una donna "di religione diversa", non convertita all'Islam. Peraltro non furono, come la tradizione vuole,  la grande bellezza e l'avvenenza fisica le doti che permisero a quella donna di conquistare il Sultano. Oramai  tutte le cronache  concordano con il dire che era di corporatura piccola e aggraziata, pur non essendo particolarmente bella.
Il contenuto di alcune lettere, ritrovate nell'Archivio di Stato di Firenze, mi permette di smentire definitivamente delle "verità" ormai acquisite all'unanimità dalla storiografia ufficiale internazionale, per motivi che vanno dall'errore, alla ragione di stato, al fervore religioso. Parafrasando un pensiero del grande poeta tedesco Goethe: ci sono dei casi in cui fa più comodo rimanere nell'errore che cercare e trovare la verità. L'errore è alla superficie mentre la verità è nascosta nel profondo, e saperla trovare non è da tutti.
Le lettere di cui sto trattando fanno parte della corrispondenza che intercorse tra Cosimo I  De' Medici, Duca di Firenze, e un misterioso personaggio dal nome Giorgio di Giglio. In queste lettere si ha precisa testimonianza di fatti e di persone che  smentiscono appunto le "verità" tramandateci,  facendone affiorare altre, fino a oggi ignorate oppure nascoste.
La prima "verità" smentita è quella dell'origine russa della Sultana Roxelana. Si tratta di una notizia basata su un'ipotesi che resiste  da secoli, e che ha fatto talmente presa sugli storici tanto da indurli a  indicare addirittura il suo luogo di nascita. Anche nel saggio biografico "Suleyman the Magnificent", pubblicato di recente (1988) dal British Museum di Londra, si è ribadito l'origine russa della Hürrem Sultan, Roxelana, e si è dato una interpretazione piuttosto forzata di una  lettera, che si trova negli archivi polacchi, scritta da Hürrem a Sigismondo Augusto (Zygmunt), succeduto nel 1548 al trono di Polonia (il documento risale a dopo il 1550, in quanto Zigmunt non spedì ambasciatori presso la Sublime Porta fino a quell'anno). La lettera accompagnò alcuni regali, di così modesto valore da ritenersi, a ragione, non in linea con il costume degli scambi diplomatici di quel periodo; perciò gli autori del libro hanno ritenuto attribuire alla  lettera un diverso significato, scrivendo che " Hürrem's approach may, therefore, have recalled the place of her birth, which was at the time in Poland, at Rohatyn on the Gnilaya Lipa River ( now in the Ukrainian SSR) ". Nello stesso testo si citano anche altre lettere di Hürrem Sultan, tra le quali due, conservate nell'Archivio del palazzo di Topkapi, a Istanbul, datate 1526, palesemente non autografe e dai contenuti discutibili, per un modo di scrivere pretenzioso, esagerato, ripetitivo, che si discosta completamente da altri scritti di quella donna, caratterizzati dalla competenza e dall' istruzione. Si tratta ovviamente di due documenti apocrifi, anche perché a quella data Roxelana, Hürrem Sultan, quasi certamente non era ancora entrata a far parte della vita di Solimano I "il Magnifico".

Dal contenuto delle lettere di Firenze emerge che Roxelana o "Rosana" sarebbe "sorella" carnale del personaggio Giorgio di Giglio, italiano, propriamente toscano, con ogni probabilità senese. Appare evidente che Hürrem Sultan ovvero Roxelana, ebbe origini italiane, toscane, forse senesi, e lo dobbiamo ammettere, una volta per tutte .
La seconda verità smentita riguarda la sua data di morte che nella storia ufficiale. 
viene indicata il 15 aprile 1558. Infatti sulla targa, posta di fronte alla sua  tomba, all'interno del monumentale mausoleo progettato dall'Architetto Sinan (turbe) e a lei dedicato nel complesso della Moschea di Solimano (Suleymaniye Camii), a Istanbul, attualmente si legge:

                    HASEKI HÜRREM SULTAN
                    Kanuni Sultan Suleyman'in hanimi
                    Sultan II. Selim'in annesi
                    Dogum Tarihi: 1502-4 ?
                    Vefat Tarihi   : 15 Nisan 1558

Dal contenuto delle lettere, e dal suo sigillo personale appostovi in fondo, si ha precisa testimonianza invece che ella è in vita almeno fino al giorno 8 novembre dell'anno 1560, ma quasi certamente anche fino al 10 luglio1561, data dell'ultima lettera di Giorgio di Giglio (tra quelle conservate all'A.S.F.) .
La terza verità smentita è che Mihrimah, probabilmente l'unica figlia femmina che Roxelana dette a Solimano, non fu sposata a Rustem Pasa, ma al figlio di lui, nominato, in circostanza di quel matrimonio, celebrato il 23 novembre1559, Capitano dei Corsari. Invece si tramanda che Rustem Paşa, Gran Visir di Solimano, si sarebbe sposato nel 1539. Questa data potrebbe anche essere attendibile, perché Rustem Paşa prese in moglie la sorella di Roxelana, diventando perciò cognato di lei e di Solimano; questo significa anche che suo figlio sposò la propria cugina carnale Mihrimah.
E' molto importante anche la notizia che nel 1559 Solimano e Roxelana avevano un figlio maschio di anni sedici, quindi nato nel 1543; è facile che si tratti proprio di Selim, il terzogenito maschio, il futuro successore del padre. Il primogenito Mehmed a quella data sarebbe già morto di malattia (vaiolo), Cihangir, gobbo e deforme, si sarebbe suicidato nel 1553, appena adolescente, in concomitanza dell' esecuzione, ordinata dal padre, del fratellastro Mustafà, oppure sarebbe morto di dolore e malinconia poco dopo il tragico avvenimento . Rimane Bayazet, l'ultimo nato, che probabilmente a quel tempo era ancora in tenera età. Anche per le date di nascita e di morte di questi personaggi appare evidente che non esiste alcuna attendibilità storica.
E' noto che Solimano I "Il Magnifico" fu un uomo straordinario. Ebbe molti interessi e altrettante doti e vocazioni , tra le quali l'essere poeta . Egli scrisse diversi componimenti poetici, in  turco ottomano e in persiano ( la lingua della cultura letteraria in tutto il mondo musulmano), sotto lo pseudonimo di "Muhibbi", l'amato. Voglio ricordare una appassionata , dolcissima e bella poesia, un'ode ( "ghazal"o gazel, componimento a rima baciata di contenuto mistico-amoroso), tradotta in inglese e poi in italiano, molto eloquente, scritta da Solimano per Roxelana, e inviatale poi come lettera. Fu anche declamata, in lingua inglese, dall'attrice anglo-americana Irene Worth, nel suo programma "Love Letters", al Festival di Istanbul nel luglio del 1986 :

     Mia unica regina, mio tutto,                                                       
 Mia adorata, mia lucente luna;
    Mia intima compagna, mio uno e tutto,   
         sovrana di tutte le belle, mia sultana.
   
     Mia vita, regalo che posseggo, mio essere-tutto,   
         mio elisir del Paradiso, mio Eden,
    Mia primavera, mia gioia, mio splendente giorno,
         mia sola squisitezza che sorride incessantemente.

     Mio vero e proprio godimento , mio festeggiamento, mio piacere,
         mia fiaccola, mia luce solare, mio sole in cielo;
        Mio arancio, mia melagrana,
         l'ardente candela che illumina la mia esistenza.

     Mia pianta, mia dolcezza, mio tesoro, che dà
         nessun dolore ma il più puro piacere del mondo;
     Carissima, mia tortora, mio tutto,
         guida della mia vitale dominazione Egiziana.

    Mia Istanbul, mia Karaman, e tutte
         le terre dell'Anatolia che sono mie;
     Mia Bedakhshan e miei territori Kipchak,
         mia Baghdad e mia Khorasan.

      Mia carissima dalla bella capigliatura, le sopracciglia curve come un arco,
         gli occhi che affascinano: io sono tormentato.
      Se io muoio, la colpa è tua, Aiuto, ti supplico,
         mio amore di religione diversa.

     Io sono alla tua porta per glorificarti.
         Cantando le tue lodi, procedo senza sosta:
       Il mio cuore è colmo di dolore, i miei occhi di lacrime,
          Io sono innamorato - questa felicità è mia.


E' questo il canto di un uomo tormentato, in preda a una lacerante passione, innamorato di una donna difficile, forse molto più giovane di lui. Si capisce che si tratta di un rapporto ancora instabile, che non gli offre sicurezza.
L'italiano Bassano, il quale all'epoca era paggio al palazzo imperiale, fu testimone di quella passione : "Le dà prova di tanto amore e fiducia che tutti i sudditi sbalorditi dicono che lei lo ha stregato e la chiamano ' Cadi ', vale a dire appunto strega".
Nel testo di questa poesia Solimano cita, tra i suoi possedimenti, anche Baghdad, la città dei Califfi, da lui conquistata nel 1534. Perciò questa ode fu scritta successivamente all'anno 1534. Definisce la sua amata "mia Sultana" e afferma che è "di religione diversa ", quindi non musulmana; Roxelana proviene da un paese cristiano, è detta Sultana, ma non è convertita all'Islam ( oltre a "Cadi", fu definita una "giaour", "Una cristiana dagli occhi di volpe o di antilope", ma anche "La ridente", per l'aspetto del suo volto sempre atteggiato al sorriso).
Probabilmente al momento in cui Solimano le dedicò questa ode ella si trovava già in stato di libertà; è da notare infatti che gliela invia come lettera. Nelle varie biografie scritte su Solimano è ricorrente  la notizia che Roxelana riscattò la propria condizione di schiava, conquistando gli affetti del Sultano; e ormai tutti gli storici concordano con l'affermare che Solimano fu da lei convinto a liberarla, dopodiché, una volta libera, gli rifiutò i suoi favori, fino al punto che lui acconsentì a sposarla ufficialmente. Così scrisse Girolamo Gigli nel suo "Diario Sanese": "Divenuta libera ricusò di più trattare con Solimano dicendo che come libera non avea egli più il potere di disporre di lei a suo piacere, se non la sposava, e faceasela sua moglie; il che, contro l'uso di quei barbari principi, che delle molte che tengono niuna ne sposano".
In Turchia si tramanda un’altra Poesia, questa volta scritta da Hurrem Sultan che si dice tratta da una  delle sue lettere scritte
a Solimano il Magnifico:

Vai, gentile venticello, dì al mio Sultano: "lei piange e si strugge";

"Senza il tuo volto, come una tempesta notturna, ella si lamenta con sgomento."

"Non pensare che il tuo potere può guarire la sua angoscia in tua assenza:

"Nessuno ha trovato una cura per le sue pene, "è ciò che dovresti dire,

"La mano del dolore trafigge il suo cuore con il suo doloroso dardo;
"In tua assenza, lei è sofferente e si lamenta come quel flauto,
                                Il flauto "

Isidoro Ugurgeri Azzolini, Padre Maestro Fr., ne "Le Pompe Sanesi", pubblicato in Pistoia nel 1649, ci dà una versione ancora più particolareggiata della vicenda amorosa di Roxelana con il Sultano:
" L'astuta Donna cominciò a detestar la sua sorte, non mangiare, né bere, mostrar di temere l' Inferno. Solimano amandola, come le pupille degli occhij suoi, per torgli via sì fatta tristezza, gli diede privilegio di libertà, la dichiarò libera, e volle, che come tale da tutti fosse tenuta. All'hora la Rossa cominciò a fabricare il tempio, e volendo come prima Solimano haver seco commercio, glie lo negò constantemente con pretesto ch'a Turchi era lecito trattar con le Schiave, mà nò già con Donne libere, come ella era per sua benignità. Ma Solimano spasimando della Rossa ( contro il costume degli Imperatori Ottomani, i quali sfuggendo la compagnia dell'Impero non pigliano moglie, ma si servono a loro piacere delle Schiave, che d'estrema bellezza gli sono condotte da tutte le parti dell'Universo, e sono custodite nel serraglio di Costantinopoli) la sposò, e prese per moglie assegnandoli a nome di dote cinque mila feudi l'anno". La data precisa delle nozze non sembra essere conosciuta; si crede che sia avvenuta subito dopo al disastroso incendio del 1541, nel quale andò distrutto l' "Eski Sarayi", il vecchio palazzo di Maometto II "il Conquistatore". In quel tempo Roxelana si sarebbe trasferita al nuovo "Topkapi Sarayi" e, per sua volontà, così anche l'intero Harem. Il Trevisano , in una relazione, inviata al Cardinale Barberino, afferma: "Solimano ha avuto cinque figli maschi et una femmina, il primo Sultan Mustafà, il quale nacque dalla Circassa nel 1516 ( Solimano succedette al padre nel 1520, N.d.A.), gli altri quattro dalla Rossa, la quale ha tanto amata, che non solo l'ha presa per moglie, ma non volse più conoscere altra donna".
Credo anche importante notare che, dall'esame delle date tramandate, riguardanti la costruzione degli edifici monumentali pubblici e privati di Istanbul, legati in qualche modo al nome di Roxelana, così come i fatti e le attività (compresa la fondazione della sua vakf in Istanbul), che la videro a volte partecipe, altre protagonista, appare evidente che questa donna esercitò la propria influenza ed egemonia nel periodo che va (per approssimazione) dall'anno1539 al 1560. In questo ventennio ella divenne la figura femminile preminente della storia dell'Impero ottomano".
Per quanto riguarda la corrispondenza che intercorse tra Solimano e la sua famiglia, è facile, come si dice in Turchia , che sia andata quasi totalmente dispersa; fanno eccezione infatti pochissime lettere, scritte da Hürrem Sultan e da Mihrimah, conservate nel Palazzo di Topkapi, di alcune delle quali, come ho già scritto, è dubbia perfino l'autenticità.
E veniamo ora al personaggio Giorgio di Giglio.
Nella  Maremma Toscana si tramanda, da secoli, una storia alla quale si è voluto dare spesso i connotati della leggenda. Riguarda Margherita Marsili, meglio conosciuta come "La Bella Marsilia", senese, figlia di Nanni e di Andreoccia Boninsegni, rapita dai turchi, in tenera età , insieme a uno dei suoi fratelli e a una sorella, al castello del Collecchio, che fu poi dagli stessi  incendiato. Del fatto esisteva, almeno fino alla fine del XIX secolo, memoria scritta sul luogo. Si trattava di una lapide, ritrovata  tra le macerie del castello del Collecchio, poi trasferita nella sottostante omonima fattoria. Recava un'iscrizione che fu vista, trascritta e pubblicata da Alfonso Ademollo nel suo libro "Monumenti Medio-evali e Moderni della Provincia di Grosseto" :

L'ANNO 1543 SU QUESTA SPIAGGIA A DIPORTO
LA GIOVINETTA MARGHERITA DI GIOVANNI MARSILI
POI DETTA LA ROSELLANA
DAL FEROCE ARIODENO RAPITA
PASSO' AL SERRAGLIO
QUINDI AGLI AFFETTI ED AL TRONO DEL GRAN SOLIMANO

La data del rapimento di Margherita forse non è esatta.
E' invece da collocarsi con ogni probabilità tra il 1526, anno delle prime apparizioni del Barbarossa nel mar Tirreno e il 1534, anno in cui lo stesso fu nominato beglerberg del mare ( lo stile del calendario al quale si fa riferimento è ininfluente ).
Si ha notizia che Ariadeno detto il  Barbarossa ( nome italianizzato ma  conosciuto anche come Kheir ed-Dine, Keireddin, Cair Heddin o Haradin; nato nel 1465 , nell'isola greca di Mitilene, da padre albanese e madre andalusa) , nel giugno del 1526, mise a soqquadro "Le maremme in Toscana". Mentre "usciva baldanzoso dal canale di Piombino, e coi ponenti della stagione volgeva verso la spiaggia romana" fu intercettato da Andrea Doria, che catturò quindici battelli turchi e i loro equipaggi, consentendo la liberazione " di un numero grandissimo di poveri cristiani schiavi ", ma molti altri rimasero prigionieri e furono portati a destinazione . "La memoria di questo fatto importante sarebbe perita, come tante altre delle nostre, se l'intrapresa delle tre galere di Rodi non avessero dato ragione al Bosio di registrarla ne' suoi annali". Nel 1534 il Barbarossa, come abbiamo detto, viene nominato, da Solimano, beglerberg del mare ovvero grande ammiraglio. Proprio in questa data si tramanda un'altra ("la seconda"?) importante apparizione del Barbarossa sulle coste tirreniche, "Ma è storicamente provato che in questa occasione la flotta turca non oltrepassò la foce del Tevere e si diresse verso il porto di Tunisi  per effettuare nel Settembre dello stesso anno 1534 la conquista di quello Stato".
Girolamo Gigli sempre nel suo "Diario Sanese" scrive che nell'Archivio delle Riformagioni, in Siena, si trovava una lettera di un Marsili (oggi forse dispersa), con la quale "a lungo" si dava alla Repubblica di quella città la triste notizia "dell'abbruciamento del Collecchio, e del rapimento di Margarita, e de' due suoi piccoli fratelli". Scrive inoltre che "di essa conservasi dalla famiglia un antico ritratto, e la memoria nell'Albero Gentilizio". A questo proposito  L'Ademollo aggiunge "che un suo ritratto vedevasi sempre nel 1722, nell'antico fortilizio di pertinenza Marsili presso la Parrocchia di S.Agnese a Vignano". Si racconta che un ritratto di Roxelana, dipinto a olio, copia dell'originale che si trova nella collezione della Pinacoteca del Serraglio, a Istanbul, sarebbe tuttora in casa di un discendente dei Marsili.
Andrea Brusoni, in una lettera scritta a' Signori Marsili (probabilmente anch'essa oggi dispersa), dice che nell'Archivio di Venezia ha veduto un antico manoscritto, intitolato  "De Turcarum Dominio", in cui si legge che " La Rossa era stata fatta schiava da Ariadeno Barbarossa, nelle Maremme di Siena, e che era di nobile famiglia, e Signora di castella".
C’è anche una curiosa citazione a riguardo della storia di Margherita Marsili in un testo settecentesco pubblicato in Siena presso Francesco Quinta alle tre Rose d’oro. E’ una raccolta di poesia, detta fanatica, attribuita a Bartolomeo Carosi  (Petroio 1483- Siena 24 maggio 1554), discusso personaggio, apostolo e profeta,  conosciuto come il Pazzo di Cristo alias il Brandano da Siena vaticinante che fu coevo a quelle vicende . Così dalle pagine 10 e 11 del testo:

“……..Vi è la Sultana, ( c) che rapita dissesi
In Marsiliana   se tai non mentirono,
Onde sua  Balia, e sua Mammana afflissesi
(c ) Magratita (sic) Marsilj  rapita da bambina ne’mari di Siena alla Marsiliana.

Onde i Sanesi ( d ) pampani fiorirono
In quei paesi, dove il vin non vendesi
E ne fur presi i Regi, e ne languirono.
(d ) I pampani sono l’arma dei Marsilj.

Il Gran Signore (e ) della Schiava accendesi
E del suo cuore la pone al Dominio;
Né quest’onore a’ Marsilj contendesi
( e ) Il gran Solimano s’innamorò della Marsilia e la sposò.

Non voglion essi tingersi di minio,
se costei diessi a Solimano in braccio,
Che i su’ amplessi non san di lenocinio,

Se maritale  fu tra lor l’abbraccio
E fu solo sleale al Cristianismo,
Perché fatale ebbe bambina il laccio….”


Nell' albero genealogico della famiglia Marsili di Siena, eseguito nell'anno 1650 dagli autori Bulgarini e Cittadini, attivi a Siena fin dai primi anni del XVII secolo, si legge che Margherita, figlia di Nanni e Andreoccia Boninsegni, è "la rossa fatta schiava e sposa di Solimano". Si tratta dell’albero genealogico che fu di Alessandro Marsili e che attualmente si trova in possesso, in versione originale, di Leonardo Marsili Libelli, l'ultimo discendente del ramo primogenito della famiglia. E' stato aggiornato fino all'anno 1750 e viene ricordato da diverse fonti storiche. Così da "Le Pompe Sanesi" di Isidoro Ugurgeri Azzolini :
"Margarita di Nanni Marsili nobil Sanese, essendo fanciulla fu rapita insieme con due sue fratellini da' Corsali Turchi; mentre erano a diporto lungo la marina vicina al Collecchio Castello della Maremma di Siena, e Signoria di suo Padre, la quale i suoi discendenti hoggi ritengono, se bene il Castello da coloro fu preso, disfatto, ed abbrugiato. E perché haveva la chioma più rossa, che bionda, fu chiamata per sopranome la Rossa; e non già perché ella fosse nativa di Russia, e Rutena di nazione, come hanno creduto quasi tutti gli autori, che n'hanno scritto; perché ella fu nobil Sanese della nominata famiglia, come canta la pubblica fama di Siena, dimostra l'Albero di questa famiglia esistente appresso Alessandro Marsili, di cui si è detto nel tit. e convincono le lettere, ch'ella venuta poi in grandezza scrisse a' Marsili suoi Parenti in Siena, invitandogli più volte a Costantinopoli promettendogli di fargli Grandi. Ella per essere bellissima, e vezzosa bambina fu donata da que' corsali a Solimano I Imperatore de'Turchi, che la fece diligentemente allevare nel serraglio dell'altre schiave, e crescendo in età, così in grazia, e bellezza rapì il cuore a Solimano".
E' del tutto verosimile perciò che Margherita Marsili e Roxelana siano la stessa persona; e lo voglio ribadire con le medesime parole usate, più di un secolo fa, dal già citato Alfonso Ademollo, eminente studioso, peraltro mio antenato, che con impegno e determinazione sostenne, onorandola, la veridicità storica degli avvenimenti del Collecchio, tramandati anche dalla tradizione popolare locale e dai toponimi:
"Margherita Marsili non fu un mito ma una realtà, visse nel secolo XVI e fu figlia di Nanni". Poi, riferendosi all'assalto del Collecchio, scrisse ancora l'Ademollo: " Quivi indubbiamente Margherita fu rapita dagli uomini di Ariodeno Barbarossa, condotta al serraglio e le tradizioni locali subito nominarono il Collecchio "la Bella Marsilia", il luogo dove ella fu imbarcata " Cala della Rossa" e il ruscello lungo le cui sponde era solita passeggiare  con la madre e la famiglia "il Borro delle Signore". Non esiste dubbio alcuno che condotta sulle rive del Bosforo ben presto divenne la favorita del Gran Signore, che la fe' sua sposandola ed essa regalandogli in poco tempo cinque figli, dei quali quattro maschi", tra i quali Selim II, che succedette al padre Solimano I "Il Magnifico" e si rese protagonista della memorabile impresa di Lepanto, che lo vide sconfitto.
Papa Alessandro VII (1655-1667), figlio di un Chigi e di una Marsili, che proprio per via della madre si trovò in quarto grado lontano da Margherita , dichiarò "il tutto essere finto e senza fondamento". Ovviamente il Capo della Chiesa cattolica, che aveva investito grosse somme nella lotta contro i Turchi e aveva tentato anche di formare contro di loro una lega di Principi cattolici, ritenne impossibile, a quel tempo, ammettere un legame di sangue con il Capo dei musulmani.
"Eppure non fu e non è che una verità".
Giorgio di Giglio fu mol;to probabilmente "fratello"carnale di Margherita, e perciò anche lui figlio di Andreoccia Boninsegni e di Nanni Marsili, ma forse un figlio cadetto . Si recò a Costantinopoli nel 1559; ebbe il privilegio di accedere al Serraglio; incontrò le due sorelle e un fratello: Margherita, divenuta Sultana, "rosana sopranome Soltana chiamata", l'altra sorella, "maestra di tutte le donne", "Capaci Basci dello Serraglio", e il fratello "Caik Mostafà", "Locotenente generale di tutte le gente d'arme dello gran' turco", in Lepanto. Nelle lettere dell' Archivio Storico di Firenze, egli, pur non rivelando la sua vera identità, afferma di avere rapporti con Siena e fa chiaramente intendere di appartenere a una famiglia importante ( scrive che un suo zio viene incaricato dal Cardinal Farnese di recarsi nell'Isola del Giglio per verificare l'esistenza di vene d'oro ): intrattiene un disinvolto scambio epistolare con il  Duca di Firenze, Cosimo I De' Medici; dimostra di essere stato persona di fiducia della Duchessa di Amalfi, Giovanna D'Aragona, e infine si trova in  Roma, nel 1561, sotto la protezione di Papa Pio IV.
Alcuni studiosi identificano Giorgio di Giglio in Giorgio Pannilini, ambiguo personaggio, forse immaginario , la storia della cui vita, ricca di contraddizioni e misteri,  viene raccontata in un'autobiografia contenuta in un manoscritto, della fine del XVI secolo, presente nella Biblioteca Vaticana. Le vicende descritte sono comunque tutte molto confuse e fantasiose, prive di fondamento, a meno che non si vogliano intrecciare, come qualcuno ha fatto, confondendole con i contenuti delle lettere sotto citate di Giorgio di Giglio, presenti nell'Archivio di Stato di Firenze.


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Le lettere di cui trattiamo sono almeno otto, e oggi si trovano  conservate nell'Archivio di Stato di Firenze. Esse costituiscono una rarissima documentazione a riguardo di argomenti e personaggi che sembrano come volutamente cancellati dalla memoria storica filologica della Toscana. Si sono fortunatamente salvate dalla distruzione dell'uomo e del tempo e il loro contenuto è da  ritenersi di enorme portata storica. Così in ordine cronologico:

1) La prima lettera (A.S.F., Mediceo del Principato, 474 c.170 r. e v.) scritta da Giorgio a Cosimo I  De' Medici, datata 12 novembre 1558, è inviata da Napoli:

Ill.mo et Ecc.mo S.or mio
per che mi trovo essere fori di Giglio anni trenta cinque incirca fori in anzi
che Barbarossa pigliasse giglio (1) molti anni sempre in corte dello aff.mo Ecc.mo S. Du
ca de Amalfi il che intendo che sua Ecc.tia tiene aver comprato ditta isola dove ne
tengo grandissimo piacere sperando di metter allucie più cose che col il tempo sonno state
hocupate per rispetto li patroni che sonno stati poveri pe' dubbio che noli fussero
levate et eddui ( è due) anni che ne parlai con il comissario de sua Ecc.zia trovandolo in
napoli che andava cole galere con dilli che informasse sua S.ria Ill.ma ad  ciòche ne
facesse in presa da vella ( averla) et così la Ecc.tia del Ducha d'Amalfi mene feci ribrezzo condir
che si sua Ecc.tia si informava che si saria in padronito de ditta in presa et quando
venne la notizia che Sua Ecc.tia tenia la fortezza di giglio hio fui digraziato dalli
primi padroni con togliendomi tutto quello che mi avea donato per la servitu di tà (dimostrata)
tgmi(togliendomi) con casticho di Carcier con dir che Sua Ecc.tia era stata informata da me et che
mai piu dirviquello Et così perche mi trovo aver riempito il mio voler et disiderio
che sua Ecc.tia ave comprato giglio et castiglione della pescara
ad me me parso scriver questi dui versi in farvi intendere che aviti fatto una conpra di
tanta in portantia che forze (forse) che parecchi di non sia fatta tale et un di
trovandomi al tempo di paolo terzio(2)in ragionamento con monsignor Farnese informa
ndoli del tutto ne volsero dare per questa dui terre sessanta milia ducati
et dapiu il capello(3)per detto pompeo suo figlio et per lo in pedimento della marchesa di
Capestrano(4)non si fece et in quel tempo il cardinale ci mando uno mio zio(5)ed feci una prova
di oro et riusci de peso vinti dui carate et fecine sette verge (verghe) di una libra elluna (ciascuna)
cosi sene feci ogni suo bisogno et quello che caccio (cacciò) ditto oro il la Ecc.tia del S.or Duca
da malfi lo feci morire in Celano et cosi Sua Ecc.tia sa dna (di una) partita delle cose che
sonno passate per que due castelle et cosi tenemo fiducia che stando sotto lagio
ditione(la giurisdizione) de uno S.r grande como ed(è) sua Ecc.tia li vassalli saranno be' trattati et
ricognosciuti perche per uno vasallo emeglio avere uno patrone ricco che povero
e giustiziero como la fama di sua Ecc.tia espande hio so stato in Siena questi giorni
et trovato il vulgo di la plebe magmo (magnanimo) li poveri che desidaro (desiderano) di stare
morti con sua Ecc.tia che vivi sotto li gintilomini senesi como erano primi et cosi spero che
noi altri saremo nel numero delli elletti de sua S.ria Ill.ma hio mi trovo in napoli et
tengo mogliera et dui figli hio non posso in patriare per rispetto che so povero et ancora
di lontano dalla patria che senzia grande stipendio non posso andare in questa terra
che hio sto ad venire aimpatriare prego quella si degni  ad cettarmi in numero delli
sui vasalli ad contentandomi de servilla in tutti sui desiderii dove ad quella si av
ara(avrà) comandarmi dandovi sempre luce di tutto quelli...(fatti?)che nela dicritione(6)di
giglio nemando scritto dentro uno foglio restandovi in perpetuo schiavo et vsllo (vassallo)

                                Giorgio di Giglio

indirizzata a :  de Sua S.ria Ill.ma di Napoli alli 12 di Novembre 1558
   
(1) il Barbarossa conquista l'isola il 17 giugno 1544.
(2) Alessandro Farnese, Papa Paolo III, 1534-1549.
(3) cappello cardinalizio.
(4) Silvia Piccolomini, consorte di Don Indico da Capestrano, aveva ereditato l'isola da Andrea Duca di Amalfi. I  Capestrano vendettero, con l'assenso del re di Spagna Filippo II , con atto pubblico dell'11 gennaio 1558 ( calendario stile fiorentino), l'isola del Giglio, Castiglione della Pescaia e Le Rocchette di Pian d'Alma a Donna Eleonora di Toledo, per il prezzo di 32.162 ducati napoletani.
(5) Cesare Marsili?
(6) discrezione o descrizione.

2) Margherita, riscattatasi dalla condizione di schiava, divenuta poi  la prima favorita del Sultano, acquistata la libertà, e infine conquistata la posizione di "Haseki Hürrem", "Hürrem Sultan", Sultana e moglie del Gran Turco Solimano I "Il Magnifico", rivolse più volte, con delle lettere (oggi disperse), l'invito ai  parenti senesi di recarsi a Costantinopoli con la promessa di farli ricchi ovvero "Grandi". Così tramanda anche l'Ugurgeri ne "Le Pompe Sanesi". E proprio il fratello Giorgio, sposato con due figli, caduto in disgrazia, dopo aver  prestato servizio per molti anni presso il Duca di Amalfi, rispose a uno di questi inviti. Infatti  lo troviamo nel 1559 a Costantinopoli a far conoscenza delle due sorelle e del fratello.
Sicuramente la precedente lettera non ha avuto l'esito desiderato; ecco che Giorgio prende la decisione di accogliere il probabile invito della sorella, recandosi a Costantinopoli con  una galea (galera) da lei inviatagli appositamente. Giunto a  Costantinopoli, Giorgio scrive a Cosimo I De' Medici, in data 15 luglio 1559.
Ecco il testo della lettera (A.S.F., Mediceo del Principato, 479 c.553) :

Ill.mo et Ecc.mo.S.or mio hio mitrovo in Contantinopoli(sic) per via di una mia sorella
che si trova mogliera del gran turco il che netiene uno figlio mascolo di anni sedici
et si trova Soltana et hora fu illanno dapoi  che scrissi ad Sua Ecc.zia in capo di otto giorni
ditta sorella mando uno raisi di galera ad pigliarmi ad posta et portarmi in Constantinopoli (sic)
et cosi son giunto et ho trovato due sorelle carnale una sta soltana ellaltra sta Capici
Basci dello Serraglio che vol dire maestra di tutte le donne che saranno in sino alle numero
di cinque milia donne tutte bellissime et stanno suggiette et schiave alla Soltana mia sorella
et cosi mi trovo avere avuto grazia di entrar dentro lo Serraglio et ho parlato ad mia
Sorella et holli ditto come giglio sta in potere di V.ec.tia et come per via dello balio di fio
rentini avevo in teso et cosi si ralegro molto per che erano di uno signore picciolo (1)
ettornato in potere di uno signore como V.S.ria Ill.mo et Maximo per essere di una patria cosi
vicino ad potervi congnoscere (sic) per che ad cadendo potervi giovarvi senpre (sic) sara pronta in
darvi ad congniosciervi come soltana et ancora vostra vaxalla et piu altre cose che in
noi sonno ragionate che con il tempo ad bocca spero parlarvi con sperantia esser con il suo
favor farvi che il gran signora (sic) vi terra nel numero delli soi amici per adesso non ad cade
altro sinno che restamo vostri schiavi in sieme con mia sorella rosana(2) sopra nome Soltana
chiamata dellisola digiglio alli 15 di Julio 1559
et cosi mia sorella per sua chiarezza di amor vi manda per segno lo suo solito sigillo come si vede
qui sotto
                                    Sigillo 
            Lo V. Schiavo et vaxallo           
                    giorgio di giglio



(1)si riferisce alla famiglia Piccolomini
(2)Rosana sta per Rosellana o Rossellana o Roxelana , ma anche semplicemente Rossana. Durante la sua visita del 1749 al Collecchio, lo Warren ( N.Maioli Urbini, I Monumenti del Parco Naturale della Maremma, nuova immagine editrice, Siena 1994, pagg.110, 111 ), scrivendo sulla torre di Cala di Forno, ci dà una interessante versione della storia di Margherita Marsili, poi cita il soprannome di Bella Rossana e dei fatti  attinenti alla verità storica contenuta nella lettera del fratello Giorgio di Giglio:

".. L'occasione che fece fabbricare questa torre è assai singolare per narrarla.
La famiglia Marsili di Toscana avendo degli effetti considerabili in luogo detto Collecchio vicino alla spiaggia del mare; gli Turchi che girano continuamente in quei contorni vi facevano dei frequenti danni e predavano sovente degli abitanti. Uno di questi corsari essendo in corso vicino al luogo ove è Cala di Forno, scuoprì una barchetta nella quale erano una figliola ed un figlio della casa Marsili i quali di nascosto de' loro parenti andavano a spasso lungo la costa del mare per il bel tempo.
Questi figli furono tosto predati, e come la figlia era molto bella; condussero la loro preda a Costantinopoli, dove fu posta nel serraglio, e diventa in seguito gran Sultana, conosciuta sotto il nome della Bella Rossana che ha dati degli eredi all'Impero Ottomano.
In riguardo alla sorella, il gran Signore rimandò il fratello a di lui parenti in Toscana dopo averlo caricato di molti doni che la di Lui famiglia conserva ancora presentemente.
Nel progresso del tempo essendovi stato un pontefice della stessa Casa de Marsili, si trovò per avvenimento assai singolare che il sommo pontefice ed il gransignore erano stretti parenti.
Come la famiglia Marsili era inconsolabile per la perdita che aveva fatta, e temendo simili disgrazie supplicò il gran Duca di far fabbricare una torre sul bordo del mare in quel luogo nel quale si può facilmente abbordare, offrendovi di tenervi due uomini a sue spese per guardarla e invigilare al mare.
Cala di Forno fu fabbricata sotto queste condizioni ......"
Il figlio, di cui tratta lo Warren, potrebbe essere proprio Giorgio che, effettivamente, come  testimoniano le sue lettere, viaggiò più volte avanti e indietro da Costantinopoli in Italia e ricevette molti doni  ( di questi potrebbe aver fatto parte anche la copia del ritratto di Margherita, divenuta Sultana, posseduto attualmente da un Marsili ).

Ecco che il contenuto di questa lettera assume importanza grandissima, poiché, come si è sopradetto, smentisce le due "verità":
 prima quella dell'origine russa della Sultana Roxelana, la quale, essendo sorella di Giorgio, ovviamente è anche italiana. L'altra riguarda la data di morte tramandata della Hürrem Sultan che non può essere 15 aprile 1558.
Inoltre è di rilevante importanza, anche come prova dell'autenticità del documento,  il sigillo personale della Sultana Roxelana che si trova apposto in fondo alla lettera a destra ( Come vedremo questo sigillo è presente anche in una lettera successiva, e apposto ben due volte ).

 3) Il 20 di agosto 1559 Giorgio arriva a Napoli; probabilmente si rivolge a Giovanna d'Aragona (1502-1575), Duchessa d'Amalfi, per annunciare, con una raccomandazione al Granduca, il suo prossimo arrivo a Firenze; la lettera (A.S.F. Mediceo del Principato, 481 c.97 r) è datata 6 settembre 1558 :

Ill.mo, et Ecc.mo, s. mio oss.mo,
Essendo stato Giorgio di Giglio servitor' di casa mia, et conoscendolo per
huomo da bene, non ho' potuto mancare con la venuta che havera da far
a Fiorenza di raccomandarlo a vs. ecc.za, com'io faccio con ogni cal
dezza possibile, supp.la (supplicarla) a non mancargli di tutte gr'e (grazie) che si convengono
et devensi sperare dalla Benignità et cortesia sua; et sapendo che'
 per farne anch'a me gr'a (grazia) L'ecc.za vs. non sarà per mancarli, fo fine co'
 Basciarle mille volte le mani: Da Napoli a VI di Settembre 1559
                    ...........sua de.ma Serva
                        Giovanna d'Aragona

4) Il 3 di ottobre 1559 Giorgio scrive un'altra lettera (A.S.F., Mediceo del Principato, 481 c.364 r.)
 a Cosimo I De' Medici:

Ill.mo et Ecc.mo S.or Alli 20 di agosto so giunto in napoli et ho trovato una
littara risponsiva (responsiva) di V.S.ria Ill.ma fatta nell'anno passato il che ho intesa et perché
mi trovo per ritorno in Costantinopoli et perché hio tengo il favor di si gran S.or come et V.Ecc.zia
hio so forzato scrivervi questi quattro versi con pregarvi che mi vogli
a tenermi nel numero delli minimi vostri vassalli et perché mi trovo in uno nego
tio della Ecc.zia del S.or Viciere di Napoli per essere venuto di Costantinopoli con molti
patente dello gran turco (1) cosi hio non vengo nolendo da V. S.ria Ill.ma et spidito che
havero questo negotio subito saro da S Ecc.zia como edebito et vassallo che sia
se ad longo parleremo dell'isola di giglio non Altro resto baciandovi li piedi
di V.S.ria I.ll.ma di napoli 3 di ottobre 1559

D. V. S. Ill.ma Servitore et vassallo che desidera servirvi
                            giorgio di giglio   

(1) Solimano I il Magnifico


5) E' questa la copia di un'altra interessantissima lettera  scritta da Giorgio di Giglio il 17 di ottobre 1559 (A.S.F., Mediceo del Principato, 481 c.482 r. e v.):

Ill.mi et R.mi S.ri
Georgio de Giglio servo di v.s.R.me (Reverentissime) a quelle fa intendere, come mi trovo
due sorelle in Cost.li (Costantinopoli) L'u.a (L'una) che è mogliera del gran' turco et haveno u.o(uno)
figlio mascolo: et L'alt.a (L'altra) è mogliera di Austa' Bascia' genero del d.o (detto) gran' turco
et di più u.o (uno) mio fratello, che si fa chiamare CaiK Mostafà, che vole dire in
Lingua nostra Locotenente generale di tt.e (tutte) Le gente d'arme dello gran' turco: che oggi
fa' residentia in Lepanto. et con q.i (questi) favori mi basta L'animo di far così che il
sudto (suddetto) non  havrà mai impaccio di tt.o (tutto) quelloche da quelle parti negoziarà:
et di Levarvi tanti fattori, e mangirie, che ogni di recapiti : et ancora
col' tempo spero di farve havere u.o(uno) salvocondutto passa io (passaggio) per La porta con
poca spesa. Le cose di Grecia, che so', che stanno difficile, di riducerlo di
poca spesa, et frutto assai. perché farò, che Lo mio fr.llo(fratello) haverà pensiero
delle cose della grecia: et io di quelle di Cost.li (Costantinopoli) spero con grà (grazia) di Dio fare
cose in u.o (uno) de noi che li alt.i (altri) non faràno in dieci:  a redurre Le cose nostre a' buon'
fine con grazia di Dio: et mediate (mediante) Le sorelle mei.Così v.s. R.me si de
gnoranno comandarmi in tt.o (tutto) quello, che io Le posso servire: et di più ancora,
per che nelle parti della Natolia (Anatolia) ci sono molti schiavi franchi che stanno
per 20 ducati a testa: a ancora di quelli, che sono fatti turchi a tt.i (tutti) mi
basta s.anto (soltanto) di darle buon' ricapito: et farli venir' alle case loro
non altro resto basandovi Le mani. Da casa alli 17 d'ottobre 1559
d.v.s. R.me C.rt et desidera servirve
                        Georgio di Giglio

Copia una lettera di giorgo del Gilglo(sic)
Al ..ndo don-Donato (?)

Da questo documento emergono altre verità importantissime: a quella data, dei quattro figli maschi che Solimano I "Il Magnifico" aveva avuto da Roxelana, ne viene rammentato solo uno. Si dovrebbe trattare di Selim, che sarà poi il successore del padre. Giorgio di Giglio ha un fratello che ha assunto il nome di "Caik Mostafà", vive in Lepanto, ed ha il grado di Luogotenente" generale di tutte le gente d'armi" di Solimano. Potrebbe essere questo personaggio proprio quel  Mustafà Pascià che troveremo insieme a Piali o "Piyalé" Pascià ( croato di origine cristiana che avrebbe sposato una nipote di Solimano), nel 1565, a fronteggiare, in un assedio senza successo,  i Cavalieri di S.Giovanni dell' Isola di Malta, al comando di 180 navi e 30.000 uomini, per ordine di Solimano. Giorgio di Giglio, oltre alla sorella Roxelana, sposata con Solimano, ne ha un'altra. La seconda sorella, oltre ad essere "Capici Basci dello Serraglio", cioè "maestra di tutte le donne", è anche moglie di "Austà Bascià". Le donne del Serraglio raggiungevano il numero di circa cinquemila, "tutte bellissime", schiave, soggette alla Sultana Roxelana. "Austà Bascià" è con ogni probabilità un errore di copiatura e sta per Rustem Paşa ( si tratta infatti di una copia trascritta e non del documento originale), nominato Gran Visir di Solimano (primo ministro dell'Impero ottomano) nel 1544. "Austà Bascià" è anche "genero" di Solimano.
 La storia ufficiale ci tramanda che Rustem Paşa  aveva sposato Mihrimah, figlia di Solimano e Roxelana. Secondo il sostantivo usato "genero", il cui significato è letteralmente marito della figliuola, rispetto ai genitori di lei, che si dicono suoceri, Rustem Paşa sarebbe stato, oltre che genero, anche il marito della sorella della Sultana Roxelana , la zia di Mihrimah, e perciò cognato di Solimano e Roxelana. Questo è poco credibile! Infatti per capire meglio e interpretare il significato di "genero"occorre riferirsi a un'altra lettera di Giorgio di Giglio ( la n°6 seguente ), datata 23 Novembre 1559, indirizzata a Cosimo I De'Medici:
Mihrimah, la figlia di Solimano e Roxelana, non fu sposata a Rustem Pasa, Gran Visir di Solimano, ma al figlio di lui, nominato per l'occasione Capitano dei Corsari. E' questa  una testimonianza che sconvolge completamente alcune conoscenze storiche attuali. E' noto che gli intrighi di corte erano spesso aggravati dall'usanza di dare Principesse in moglie a ministri e capi militari che diventavano generi (dàmàd) o cognati del Sultano.



6) Lettera di Giorgio a Cosimo I De’Medici del 23 novembre 1559 ( A.S.F.Mediceo del Principato, 482 c.192 r. e  v. ).


Ill.mo et Ecc.mo.S.or.mio
Si è ricevuto una di v. S.I.ma il che ne sento sempre obri
gatissimo: .......in dio che ringrattiandolo senpre di tanto favore
che mi da in comandarmi uno S.or re di toscana lo quale spero
in nanzi che mora vedello'.re. ad soluto perche cosi la mia spe
ranza in quanto allo salvo condutto già se ne era parlato con mia
Sorella et per che ancora non sapevamo certo che fusse in in pos' (possesso)
di sua s.ria Ill.ma no ho così procurato' lo sua saluto ma gia spe
ro per fermo che mediante il. sig.or dio detta sorella sara facile ad
capofila per che spero avere maggiore cose di questo ancora ..
ma per piu vera certezza  et piu honore quando ci bisognasse
una veste di broccato per la soltana et una per rostan Bascia
che sua Ecc.tia facesse colo Balio che la provedesse in quanto
allo benessaggio(?) mio non voglio si non la grazia di sua S.ria Ill.ma
et so certo che hio venendo ad abitar in giglio in fino che hio
saro la dentro non tra essere danneggiati per gli contra segni che
tengo tanto piu se io saro un'altra volta in parlamento con
la soltana perche le forze dello gran S,or.consiste nelle donne
e nelli scoglionati et con queste dui gienerazioni ci tengo uno
braccio che nissuno in ...s.io (serraglio) si trova perche ci tengo dui
sorelle uno nipote una nipote pefino che oggi si da per marito
allo bascia di armata che figlio di rostam Bascia et per il fatto
che oggi ecapitanio delli Corsali et con questo hio mi trovo ave
fatto di presente tra coralli ecose doro piu di cinquecento ducati
solo per questi S.ri mei sorelle enipoti et con questo spero di adcaparra
re ogni grazia
Et prima sara del .......... perche cosi s..mo hobrigati cosi restando
sempre che mi...............
alli 23 del Novembro 1559
VSria Ill.mo Ecc.mo.. suo vassallo
E schiavo  giorgio di giglio


7) Lettera da Lepanto (a Lepanto risiede il fratello di Giorgio, Caik Mostafà, vedi lettera n.5) scritta da Giorgio a Cosimo I De Medici l'8 di novembre 1560. In fondo sono apposti, uno a destra e uno a sinistra, i due sigilli di Roxelana (A.S.F. Mediceo del Principato, 487 c.50 r.):

Ill.mo et Ecc.mo S.or mio perche so certo che la servitu ellobrigo che tengo in voler servilla
mi spingie addarvi nova como sorivo allepanto dove ad petto (aspetto) di ad congidarmi da fratello
conessolui dove spero di venire presto da queste parte e servirvi in tutto quello che sara di mistiero
sopra illisola del giglio dove in Costantinopoli quando partiti per tripoli lassai che era scritto
lo salvo condutto di la porta non so si lo aviti auto perche so certo che ne aviti di bisogno
io aio parlato con rostam bascia piu volte del conto di vostra Ecc.zia di la grandezza et ancora
della fellicita di quella dove in sieme siave pigliato piacere sentilla di piu con il Dra
gomanno dillo granTurco che si domanda (si chiama) abraiBrai lorichiamara alli altri bascia et
hio staro pronto sempre in vostro servizio con dirli che vostra Ecc.zia liera bono fr.llo (fratello)
che li amavati davero amico loro simaravigliavano di uno S.re si grande cosi richo perche
loro sono schiavi ellaloro richezza sta in poter di la fortuna in tripoli sono venute piu ga
leotti di Corsali dove mi anno ditto che sonno stati in giglio questa state dove cianno perduti
piu turchi et hio li ho fatti adboccare con Dragutto con dirli che giglio sia rispettato
como le cose dilo gran S.or perche cosi ave parlato et hio spero di venire portaro lo salva
condutto di Dragutto che hora e fatto Bascia eancora quello di lo re dilgieri (di Algeri) perche qua
non penso adaltro fino per lanazione et ancora per la patria con questo resto schiavo di vostra
Ecc.zia con basciare li piedi dil. (della) S.ra nra (Eleonora) Duchessa e a parte di mia sorella et
ancora mia et di mio fr.llo (fratello) vinendo sperano farsi ad cognosciere illoro animo et ancora
la servitu loro per amor mio et adme saria di piacere di sapere lavolonta di sua Ecc.zia sia contento che venga ad governare mi figli et ancora servillo adpresto alli sui territori
et sua S.ria Ill.ma mella advisara(me la avviserà) per via di tanti il sopra scritto dica ad
giorgio di giglio in lepanto in casa di mostafa raisi rinegato di giasamusa per via dila redenzione
di napoti che sariti causa di guadagnare una anima et ancora sostento di una famiglia et adpresto
manderiti per adviso quello che di qua posso servilla che sto pronto venendo ad bocca
porremo parlare non altro di lepanto alli 8 di novebro 1560

Sigillo       Lo servitor et schiavo evassallo che di siara (desidera)       Sigillo 


8) Lettera da Roma, scritta da Giorgio a Cosimo I  De’ Medici il 10 luglio 1561 ( A.S.F., Mediceo del Principato, 489 c.92 r. e v.). Giorgio cita due lettere di Cosimo, contenenti "segni" di amicizia e  forse anche qualche promessa, tanto da averlo indotto a lasciare, le sorelle, il fratello e i propri beni a Costantinopoli. Purtroppo a Firenze lo aspetterà una brutta sorpresa: l'inganno del Malipiero e la possibilità che lo stesso Duca di Firenze lo voglia punire con il carcere a vita, per il fatto di essere  "turco", ovvero in rapporto di parentela con i turchi. Giorgio, non appena avvedutosi del pericolo corso, si rifugia a Roma, sotto la protezione di Papa Pio IV (1559-1565), Giovanni Angelo De’Medici.

Ill.mo et Ecc.mo S.or mio
per unaltra (volta) scrissi avostra E.I.dove dicieva una parte della causa
dil mio partire hora appieno ve dirrò como essendo in pisa stato dui mesi
io piu appresso alla Corte de sua E.I. venne il male piero molto desideroso
di farmi bene eio pensando che fussi homo di credito dove midicie che il
mio stare era molto pericoloso per rispetto che aveva inteso in camera di sua
E.I. che hio ero turco che mi volevate mettere in galera effarmi stare tutta
la mia vita esi volevo andare in fiorenzia collui mi voleva vestire e darmi denari
che andassi dove pareva ame hio sentendo tal pensiero per bocca di uno ho-
mo cosi ben parlare dimostrando una grande compassione di me io lo venni ad
credello così mi pigliò il cavallo e venemmo in fiorenzia senpre per la via informa-
ndomi che lui era stato lamia liberatione e che sperava undi farmi del
bene hio in teressato all paura nel cor mio piangevo la mia fortuna et mi ri-
ricordavo delle parole che mi aveva ditto il balio di Costantinopoli perchè
quando ero illevante senpre mi dicieva che venissi attrovarvi  et che lassassi
ogni occasione di la et con quella relatione e coli segni che mi mostravati
nelle due littere hio avevo lassato sorelle fr.tlli robbe solo per amor di vinillo
achognosciello et morir in suo servizio così piangevo la mia fortuna che mi
pareva che mi avessero ditto la buscia (bugia) senpre pensando che fusse per causa dei
mi peccati et con questo giunsemo in fiorenzia il male piero in canbio di aiuta-
rmi effarmi bene como mi aveva ditto miricierco che faciessi uno sacrameto
falso contra  li dovanieri per avelli tolte lerobbe allo entrare della citta et an-
cora piu la notte dormendo in casa sua voleva tutte lemie fede cpatente che hio
porto epoi mi voleva che io andassi in fino alli confini di vinezia collui et quan-
do veddi il tradimento fatto mi aveddi (avvidi) che ero stato in gannato et così pigliai
la via di roma dove mi so conciliato cola .s.ta Matre eclesia esommi (e mi sono) assettato
la mia anima per mano di sua .s.ta (santità) dove mi ave fatto tanto bene che hio sen-
pre saro hobrigato pregare Dio che canpi cento anni dove mi trovo in roma
pronto aogni vostro servizio e mai negaro il mio volere ogni tre di saroda il
da il (sic) secretario agiente di sua Ecc.zia I.solo che si sappi che hio desidro servilla con tutto il
core provandomi dove piu in porta la mia vita così resto basandovi le mani di
roma alli 10 di luglio 1561
et per questa casione hio no pigliai licienzia come debito era da v.s.ria I.ll.ma
D.V.S.J et C.Servitor  che desidra
servilla giorgio di giglio

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