venerdì 12 aprile 2019

Arch. Silvano Valle Biografia scritta dal figlio Goffredo

 Biografia di Silvano Valle scritto dal figlio secondogenito Goffredo

Avrei voluto interrogare mio babbo quando era vivo ma non l'ho fatto e quando avrei voluto farlo era troppo tardi prima perché era ammalato e sofferente e credo non gli facesse piacere rivangare molte delle  tragedie del passato, poi perché è morto. Quando è morto io avevo ventuno anni di età ed era da quando ne avevo diciotto che mi trovavo a lavorare nella città di Piombino ( Li ), distante circa ottanta Km da casa. Poi il Sabato e la Domenica, anche quando rientravo a Grosseto,  dedicavo il mio tempo al divertimento cosicché con mio babbo ci vedevamo troppo poco. Per scrivere la sua biografia mi sono avvalso di tutto quello che ho ascoltato sia direttamente dai suoi racconti, sia da quelli riportati da mia mamma, dai parenti, dalle persone  che lo conoscevano e che lo  hanno frequentato. Ci sono poi in famiglia tanti documenti, lettere, fotografie che testimoniano fatti e momenti della sua vita. Per quanto riguarda le guerre alle quali partecipò e le tragiche vicende che lo videro protagonista ero a conoscenza solo in quali scenari egli si trovò : l'Africa prima e  l'Jugoslavia dopo ; sapevo  che era stato Capitano nel Corpo degli Alpini ma non avevo idea a quale Battaglione o Corpo di Armata appartenesse e i dettagli dei fatti storici che riguardarono quei momenti. Ho fatto così delle ricerche attraverso i dati che possedevo e ho tratto delle conclusioni che credo facciano chiarezza sul periodo in cui lui come altri, con spirito di sacrificio e dedizione al dovere,  riuscì a servire la propria patria valorosamente uscendone miracolosamente vivo. Solo recentemente, nel marzo 2019, ho ritrovato copia del suo Stato di Servizio completo, impiantato dal Distretto Militare di Grosseto,  dove si possono rilevare nei dettagli  tutte le notizie mancanti. Molti dei mali che lo afflissero nel breve periodo della sua vecchiaia, giunta troppo precocemente, derivarono anche dai postumi delle privazioni e delle sofferenze subite durante quelle due  guerre finite tragicamente per l'Italia. Era diventato anche sordo da un orecchio per via dell'eccessivo fragore di un colpo di cannone ma per ciò non gli fu riconosciuta mai  alcuna pensione di invalidità ( lo Stato ripagava così un valoroso Ufficiale che lo aveva servito con onore e amor di Patria, seppure decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare). Non solo!  Ma al momento dello scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1940, prima di partire per l'Jugoslavia,  babbo Silvano era proprietario di una Fiat 500 A "Topolino", seminuova ( venne prodotta dal 1936 in poi), bicolore: nero e rosso amaranto. Gli fu requisita e messa a disposizione di un autista (di cui  sappiamo nome e cognome) e utilizzata, in territorio grossetano,  per servizi vari. Alla fine della guerra gli fu restituita, immaginiamo in che condizioni, anche senza le ruote.
Goffredo Fausto Gino


























































SILVANO VALLE Architetto
Nato a Roma, in via XX settembre angolo via Servio Tullio, nell'appartamento situato al piano primo, il 25 ottobre 1902;  gli fu imposto il nome di Silvano, in virtù della  figura mitologica romana, Dio delle selve e delle campagne. Morto a Grosseto nella propria abitazione di Via U.Giordano 26 , il 9 ottobre 1972, dopo lunghe sofferenze dovute anche all'incapacità e la negligenza del personale medico del reparto di Chirurgia uomini dell'Ospedale di Grosseto. Il padre Pietro Valle (Scansano 11 settembre 1871- Scansano 3 aprile 1929) , avvocato, aveva sposato la nobildonna Giselda Ademollo Lambruschini (Firenze 21 febbraio 1874 - Scansano 24 giugno 1955), Marchesa. Silvano era il maggiore dei due figli maschi, l'altro era Gualtiero (22 novembre 1907 - 1 maggio 1989); c'era stato un terzo figlio di nome Sergio, morto in tenera età, forse a causa della malattia genetica detta  "Favismo"; si trova sepolto nella cappella di famiglia del cimitero di Scansano. La nascita del figlio Silvano deve essere stata, soprattutto per il padre Pietro, un evento molto gradito;  nel giorno del suo primo compleanno gli dedicherà un libricino da lui pubblicato con "ALCUNE LETTERE INEDITE di Francesco Domenico Guerrazzi"  (Scansano 1903, Tipografia Editrice degli Olmi di Carlo Tessitori)  : "A MIO FIGLIO SILVANO ANIMA DELL'ANIMA MIA NEL PRIMO SUO COMPLEANNO" e poi aggiungerà come introduzione la seguente lettera : "Figlio mio amatissimo, Queste poche lettere, che rammentano tempi tristi per la patria nostra, furono scritte, nel carcere di Portoferraio, da quell'anima fiera di Francesco Domenico Guerrazzi al tuo bisavo materno Avv. Agostino Bandi, Auditor Vicario all'Isola d'Elba: l'ultima sola fu diretta da Firenze allorché il Guerrazzi, restituito in libertà, poté far sentire la sua voce nei consigli del Governo Granducale di Toscana. Ho voluto pubblicarle nel tuo primo compleanno, dedicandole a te; perché, quando sarai grandicello, tu sappia quale e quanta parte hai occupato nell'anima mia, sin dal giorno della tua nascita: perché, fatto adulto, tu possa comprendere quale bene immenso è la libertà e quante lagrime e sangue essa sia costata. Traendo esempio dai nostri maggiori, ama sempre Dio, la patria, la famiglia: e se qualche volta, nelle battaglie della vita, ti sentirai stanco e sfiduciato troverai sempre conforto in questo trinomio, che sintetizza tutte le aspirazioni dell'anima umana. Ti bacio
tuo padre Pietro Valle
Scansano, 25 Ottobre 1903 "
Silvano Valle fece tesoro degli insegnamenti e delle parole paterne dimostrandolo nei fatti durante l'intero corso della sua vita.  Purtroppo i suoi genitori si separarono (anche se personalmente non conosco la data precisa in cui ciò avvenne  e i motivi che provocarono la separazione si presume che a quel tempo fosse un caso da considerarsi eccezionale, se non raro) e deve essere stato assai doloroso visto che la famiglia faceva parte di quel trinomio che Pietro Valle considerava valori fondamentali della vita.  La conseguenza diretta fu che Silvano visse parte della sua infanzia nel clima di  austerità e rigore del Nobil Collegio Nazareno di Roma. Perciò crebbe con una severa educazione,  improntata sull'obbedienza e sul  rispetto dei valori fondamentali della società e della vita. Tutto questo lo fece diventare poi  un ottimo Ufficiale (si dice che chi non ha imparato prima ad ubbidire non può sapere poi comandare) e servitore della patria ma anche un uomo retto, giusto, generoso con il prossimo e fin troppo fiducioso. Di carattere gioviale, sempre sorridente, coltivò molte relazioni soprattutto con le donne ( Quando poté condusse un vita da vero libertino). Si diceva che "Bacco , Tabacco e Venere riducono l'uomo in cenere". In quanto a Bacco non era il suo caso, beveva poco più di un bicchiere di vino solo pasteggiando, non faceva uso di alcolici e semmai preferiva prendere qualche caffè in più; per quanto riguarda invece Tabacco e  Venere eccedette sempre: arrivò a fumare anche 60 sigarette al giorno , le Nazionali Esportazione, senza filtro (quelle con il pacchetto verde); le donne poi furono tante, ad ogni età, almeno finché non si sposò. Tra i suoi ricordi, oggi raccolti in un Album di famiglia, ci sono molte lettere, fotografie, biglietti che dimostrano la quantità di  relazioni  sentimentali che ebbe con donne italiane e straniere.  Per esempio una piccola fotografia di un rosa, in bianco e nero, di forma quadrata, con dietro scritto: "Non se può spengere fiame del amore così come se spenge fiame del sigarete. Per picolo ricordo da tua Ruda (?)" oppure la foto di una bella ragazza in costume  seduta su un pattino in spiaggia con dietro scritto "A Silvano con tutto il mio amore"; della stessa ragazza ci sono anche altre foto. Per finire una cartolina di un tramonto sul mare con barche con scritto "Sola con te su questa barca. Sola con te che amo. Mi sembrerebbe di toccare l'apice della felicità. Desidererei morire per non discenderne mai più. Ana". Sono solo pochi esempi ma ce ne sono molte altre di testimonianze che denotano quanto questo uomo fosse amato e ricercato da tante donne, alle  quali sicuramente egli seppe dare quello che da lui si aspettavano, amandole  e soprattutto rispettandole con la lealtà, il fascino e l'eleganza non comuni che lo caratterizzavano e lo facevano apprezzare come un eccellente galantuomo quale egli in realtà era. Per queste ed altre doti perciò ebbe anche tanti carissimi amici maschi; credeva fermamente nel sentimento dell' amicizia, quella sincera e leale. Era un uomo di sani principi con tante virtù e anche ovviamente con dei difetti. Lo distinguevano: la correttezza nei confronti del prossimo, la modestia, l'umiltà, la generosità, seppure fosse cosciente di vivere in un mondo di furbacchioni, prevaricatori avidi ed arroganti; forse gli mancò l'autostima poiché temeva che fosse scambiata per presunzione . Egli si fece sempre da parte quando doveva favorire qualcuno; come si dice: "Lasciava il passo". Comunque sulla sua formazione influirono molto anche le responsabilità storiche che gli derivavano dai legami di parentela con uomini così illustri ed importanti, personaggi che hanno partecipato, in tempi e modi diversi, alla storia d'Italia. La autoritaria figura del nonno paterno Angelo Valle (Scansano 24 aprile 1851 – Scansano 12 aprile 1926) influì molto sulla sua formazione : Angelo Valle fu un importante uomo politico; sedette alla Camera dei Deputati, in Parlamento per ben cinque legislature, dal 1886 al 1900; fu in contatto con molti Ministri di quel tempo; tanto per citarne alcuni: da Sidney Sonnino, a Giuseppe Zanardelli, ad Agostino De Pretis, a Giovanni Giolitti ma fu soprattutto anche amico di Francesco Crispi del quale seguì le linee politiche e con il quale condivise le vicende storiche di quegli anni. C'è da dire che Crispi gli dimostrò sempre una grande stima e rispetto e ciò fu reciproco.  Il 27 dicembre 1920, in Roma, Silvano Valle aveva partecipato attivamente, insieme ai "Nazionalisti", alla manifestazione, tenutasi in Via del Corso, a favore di Gabriele D' Annunzio e l'impresa di Fiume.  Ne seguì il suo arresto ed il trasferimento a Regina Coeli con l'accusa di avere gridato, come riportato da "Il Giornale D'Italia" del 29 dicembre 1920 , " Viva D'Annunzio" e poi  "Eia eia alalàà !" ; una volta in carcere fu sottoposto a violente percosse (raccontò di avere le labbra gonfie e il volto tumefatto) e dopo qualche giorno, grazie anche all'interessamento del padre Pietro, avvocato in Roma, avvenne  il  rilascio e poi successivamente l'assoluzione per amnistia ( vedi documenti nell'archivio di famiglia Valle).  Il 3 gennaio del 1922 sicuramente abitava in Roma, Via Bergamo, n.31. Compì gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Roma conseguendo il Diploma in Architettura e Decorazione nell'anno scolastico 1923- 1924 (1). Aveva una disposizione naturale al disegno e un interesse innato per l'arte, l'architettura e per la bellezza. Fu uno degli allievi di quell'Accademia della scuola di architettura presente nella storica istituzione romana a cui era stato assegnato l'edificio ottocentesco del "Ferro di cavallo" di via Ripetta, così chiamato per il caratteristico emiciclo della facciata (molti allievi sono poi divenuti famosi architetti ; per esempio Mario Ridolfi (2) compagno di studi amico carissimo di babbo; vedi foto firmate nell'album di famiglia). Gli altri amici, anch'essi compagni di studi, sempre presenti nelle fotografie di quel periodo, sono: Angelo Della Torre (1903-2000) (3) che poi diventerà il noto pittore di Via Margutta, a Roma e Hector Filippi (1893-1965) anch'egli poi importante pittore. La scuola di architettura rimase lì fino al 1929, anno della secessione verso l’attuale facoltà universitaria. I disegni d’architettura conservati nell’archivio storico, infatti, testimoniano fedelmente non solo le modalità d’insegnamento della materia nella capitale d’Italia tra la seconda metà del XIX e i primi decenni del XX secolo, ma illustrano dettagliatamente gli ideali architettonici e urbanistici del tempo, riflesso dei grandi progetti di ricostruzione e formazione dell’identità culturale del neonato Regno d’Italia. Silvano era un buon nuotatore; da ragazzo era stato iscritto alla Scuola Romana di Nuoto, a Roma, sul fiume Tevere; per lui non c'erano le stagioni, quando si trattava di tuffarsi in acqua che fosse il fiume, il lago o il mare, non resisteva alla tentazione; neppure lo fermavano le condizioni di tempo avverse; durante le mareggiate lo si vedeva sparire tra le onde e i cavalloni per poi ritornare a riva con la massima disinvoltura. Il nuoto e il mare sono stati per lui una autentica passione. Anche durante la guerra d'Africa riuscirà a trovare il tempo per provare "Il refrigerio di un  bagno nell'azzurrissimo mare africano" (vedi foto). Dal 1 settembre 1926 al 15 giugno 1927 Silvano Valle frequentò  il Corso A.U.C presso la scuola Allievi Ufficiali di Complemento di Torino, specialità Alpini, risultando idoneo con la Matricola 197698 (Vedi Stato di Servizio). Prestò giuramento di fedeltà il 2 luglio 1927 presso il 6° Reggimento Alpini in Bressanone. Conosceva la lingua francese e successivamente apprese la lingua slava ( slovena ). Portava il segno di una frattura al setto nasale dovuta ad un incidente occorsogli in età giovanile mentre cavalcava il suo cavallo ( forse di nome Fulmine); fu disarcionato ma rimase attaccato ad una staffa subendo una zampata in pieno viso, lo zoccolo gli procurò il trauma che renderà il suo naso non deformato ma più grosso  rispetto a prima, anche se non influì molto sulla sua fisionomia, il suo volto rimase sempre gradevole con una bocca di denti bianchissimi perfetti e regolari che si diceva sembrare simili alle perle. Aveva la dote dell'eloquenza, era un ottimo oratore ed era molto richiesto in  occasione di matrimoni e celebrazioni;  numerosi furono gli inviti alla partecipazione di feste e commemorazioni pubbliche. Quando recitava , citandoli a memoria, i sonetti di Trilussa (per es. Er Generale o la Sora Checca) o di Giovacchino Belli, in dialetto romanesco, lasciava tutti a bocca aperta. Per non dire dell'ilarità che provocava con il suo cavallo di battaglia : "Gosto e Mea" ovvero "La lingua di una donna alla prova", poesia giocosa dell'Ottocento del Dr.Guadagnoli, pisano; la declamava tutta a memoria e così anche i sonetti di Renato Fucini, altro sagace poeta toscano a lui caro. Quando aveva circa trent'anni di età una giovane contessina residente a Barga, in Provincia di Lucca, avrebbe voluto sposarlo. All'inizio lui incoraggiò la relazione ma poi dovette interromperla dicendo che lo fece perché quella ragazza era troppo "Appiccicosa" e tendeva a limitare le sue libertà; forse si trattava di un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie di appartenenza. La sua presenza era anche molto richiesta durante i "Veglioni" del periodo di Carnevale che si tenevano a Scansano nello scenario del Teatro Castagnoli. Silvano Valle dirigeva un ballo collettivo molto in voga almeno fino agli anni Sessanta: "La quadriglia"; quei "Veglioni" costituivano  momenti di svago e divertimento unici durante il corso dell'anno; tutta la popolazione del paese e delle campagne vi  partecipava; c'era un grande bisogno di divertirsi, soprattutto nel dopoguerra. Comunque fino agli anni Settanta anche io ero un assiduo frequentatore dei "Veglioni" scansanesi e garantisco che quel clima di gioia e di allegria che si viveva in quelle occasioni era davvero unico, genuino, oggigiorno irripetibile.  Tra i numerosi fatti accaduti nel corso della vita di mio babbo (nel 1929 o 1930) c'è questo : era notte, Silvano, alla guida della sua automobile nuova fiammante , una FIAT 521 che montava un  motore  a sei cilindri in linea di 2516 cc e pesava 2000 Kg., scendeva da Scansano verso Talamone per raggiungere forse qualche ragazza di quel luogo, percorrendo la strada, allora sterrata che da Magliano in Toscana conduce  alla SS1 Aurelia; successe un fatto che oggi sembrerebbe impossibile: mentre andava a velocità sostenuta ma non più di 94 Km/h ( prestazione massima di quell'auto), all'improvviso un cavallo gli attraversò la strada; non poté fare a meno di investirlo. Con il montante del parabrezza gli mozzò la testa di netto e il malcapitato cavallo, imbizzarrito, continuò la sua corsa fino a cadere per terra. Povero cavallo! L'auto non aveva subito neanche un'ammaccatura. Un altro fatto questa volta meno tragico che le era capitato e che raccontava era il seguente: un giorno mentre stava viaggiando, da solo, con la sua automobile si fermò per dare un passaggio ad un uomo che oggi si direbbe faceva "L'autostop". Lo fece salire e poco dopo il passeggero si  mise a parlare dicendo che aveva discusso con un conoscente e ce l'aveva con colui  poiché questi  sosteneva di essere Napoleone. Babbo Silvano, minimizzando l'accaduto, gli chiedeva il motivo di tanto livore per quella affermazione in quanto era ovvio che non fosse Napoleone;  "Certamente che non lo è !" rispose lui: "Napoleone sono io!".  Fu allora che babbo fermò l'auto e lo fece gentilmente scendere.                                                                                              Una delle aziende agricole di famiglia denominata Campospillo, nel Comune di Magliano in Toscana, era coltivata prevalentemente con olivi ( qualche migliaio) e dotata di un frantoio e di altri fabbricati abitativi ( in uno di questi si trovava un busto marmoreo di Pietro Valle "Settecervelli" simile a quello che attualmente è nell'atrio del palazzo di via della Botte a Scansano). Fu venduta, probabilmente ante 1936 e cioè prima della partenza di Silvano per la guerra d'Africa, alla famiglia Mazzoncini che tutt'oggi la detiene. Si rivelò un pessimo affare. Il denaro ricavato fu depositato in Banca.  Purtroppo successe questo:  "Alla fine del 1936, dopo la guerra d'Etiopia, arriva l'attesa svalutazione della lira, che favorisce la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l'estero. Ma la seconda guerra mondiale, con la divisione del Paese e l'occupazione straniera, dà un colpo mortale alla nostra valuta. La lira si riduce a un trentesimo del suo valore prebellico. Nel dopoguerra uno degli obiettivi prioritari è riuscire a frenare l'inflazione: a renderlo possibile è la riforma della riserva obbligatoria dell'estate 1947". "Tra il 1938 e il 1964 il valore della lira si era ridotto di cento volte". Con quel denaro alla fine della guerra come diceva babbo Silvano ci comprò un paio di buoi. Ritornando alla attiva partecipazione di Silvano Valle da Ufficiale del Corpo degli Alpini, prima alla guerra d'Africa poi a quella di Jugoslavia ho ritrovato solo recentemente copia del suo Stato di Servizio Tipo B  impiantato dal Distretto Militare di Grosseto. Ho potuto ricostruire l'intera sua carriera e percorso militare. Imbarcatosi a Napoli  il 7 marzo 1936 sul Piroscafo "Piemonte", il 10 marzo 1936 si trovava a Cagliari ( in quella data scrisse una cartolina raffigurante il maestoso Piroscafo "Piemonte"allo zio Concetto Valletti) : "Caro zio, viaggio indimenticabile sotto una fredda luce lunare; Cagliari ci ha accolto con entusiasmo indescrivibile. Migliaia e migliaia di persone, musiche e bandiere. Si prosegue ora per l'Africa. Alle zie, a te, a tutti voi il mio pensiero. Silvano". Sbarcò a Tobruk il successivo 13 marzo. Faceva parte dei numerosi volontari che andarono a combattere in Africa Orientale ovvero nella Libia nord orientale; aveva il ruolo di Comandante di plotone . Fu a Bengasi, Derna, Tobruk. Il 23 aprile 1936 si trovava al Grande Albergo Cirene e scrisse, forse tra le altre, una cartolina indirizzata a Scansano alla zia Rita Ademollo Lambruschini (la sorella della mamma Giselda) sposata al Dr.Ivo Bandi, famoso scienziato. Il 24 maggio 1936 scatta due foto a Tobruk ad una ragazza araba ( le foto sono scritte a matita sul retro con luogo e data anche il nome della ragazza:  Zelinne o Zilinna?) . Si imbarcò di nuovo a Tobruk il 1 settembre 1936 per ritornare in Italia. Sbarcato a Napoli il successivo 6 settembre rientra a Scansano dove cessa di essere mobilitato e collocato in congedo. Sarà solo una pausa poiché gli eventi conseguenti all'entrata in Guerra dell'Italia fanno sì che  il 20 febbraio 1941 venga messo a disposizione del Comando Generale della M.V.S.N. ,  inserito il 9 marzo 1941  nella 98a Legione d'assalto mobilitata e nello stesso giorno giunto in territorio dichiarato in stato di guerra in Jugoslavia, per precisione in Slovenia. Fu Comandante di Compagnia dal 20 febbraio 1941 al 31 dicembre 1942 e poi dal 1 gennaio 1943 Aiutante Maggiore, nel Corpo degli Alpini, nella 98a Legione CC.NN. d'assalto. Si trattò di una guerriglia efferata, subdola, dove si contrapponevano dei soldati regolari in divisa, in questo caso italiani e persone vestite in borghese, popolani, indigeni non riconoscibili; venivano scambiati per gente comune ma erano  partigiani (ribelli come venivano detti), armati fino ai denti che sparavano alle spalle. Erano spietati verso gli occupanti italiani e agivano con estrema crudeltà. Agghiaccianti furono i racconti sulla sorte che toccava a chi per sua disgrazia cadeva nelle loro mani: ne  veniva ritrovato il corpo impietosamente straziato,  appeso ad un albero ancora in vita , sventrato, con le budella dell'intestino fuoriuscite e spesso con i testicoli ed il pene tagliati e messi in bocca. Ci possiamo immaginare quanto influissero queste efferate esecuzioni nello spirito e nel morale dei nostri soldati, già provati, soprattutto nelle ultime fasi delle operazioni, dalla carenza di armi, attrezzature, indumenti, cibo e scorte conseguenti all'interruzione di ogni fornitura da parte dei Comandi Militari nazionali che alla fine li abbandonarono proprio ai loro destini. Infatti "Le divisioni più vicine al territorio italiano, come quelle dislocate in Slovenia, cercarono, dopo l'armistizio, di rientrare in patria, ma le marce di interi reparti si concludono spesso nelle strettoie di Fiume e del Carso triestino, dove i tedeschi rastrellano grandi quantità di uomini e li avviano ai campi d'internamento. Per alcuni, però, le zone boschive della Slovenia sono i luoghi per tentativi, spesso riusciti, di sfuggire alla cattura e conservare le armi". Silvano Valle correndo  gravi rischi e con enormi sacrifici fisici ( per dissetarsi bevevano l'acqua delle pozzanghere aggiungendo del dentifricio per disinfettarle e per mangiare scavavano, quando le trovavano,  le patate nascoste per conservarle  dalle popolazioni indigene vicino alle loro abitazioni)  ce la fece a passare il confine e a rientrare in Italia per poi, a piedi, raggiungere Grosseto finché in auto poter rientrare a Scansano, grazie all'incontro casuale con il suo vecchio amico Arduino Bastiani (proprietario dell'omonimo albergo grossetano) che all'inizio neppure lo riconobbe da quanto egli era sofferente e deperito ma che comunque si era fermato lo stesso vedendolo sul ciglio della strada. Silvano racconterà di essere arrivato a pesare 47 Kg. da 80 Kg. che era il suo peso forma normale . Dopo la suddetta disfatta ed il rocambolesco ritorno dall'Jugoslavia nel suo paesello Silvano Valle avrebbe voluto riprendere la sua vita normale anche se la guerra non era affatto finita; era da poco passato l'8 settembre del 1943, giorno dell'Armistizio; in tutta Italia si stava combattendo una guerra civile. Nonostante le forti pressioni che esercitarono su di lui le autorità post-fasciste affinché aderisse  alla Repubblica di Salò egli  non ci credeva più, aveva capito che sarebbe stato solo un ulteriore fallimento, pertanto si sottrasse con ogni mezzo possibile dal farlo e vi riuscì, mettendo comunque anche a rischio  il suo stato di salute ( ne pagherà poi le conseguenze con una precoce e sofferta vecchiaia aggravata soprattutto dai postumi delle privazioni e dai sacrifici fatti durante la sua  partecipazione, in tempi diversi, alla guerra di Africa e poi a quella in Jugoslavia oltre che ai traumi a cui fu sottoposto prima e dopo la fine della guerra). Le vicende del passaggio dei tedeschi, ex alleati, traditi da noi italiani , in ritirata, lo vedono messo al muro come ex Ufficiale del Regime Fascista pronto per essere fucilato; è  già sotto tiro del plotone di esecuzione, con i  fucili puntati, nella Piazza G.Garibaldi di Scansano, quando grazie al miracoloso intervento  di un ufficiale italo-tedesco viene graziato per mancanza di reali motivazioni o prove contro di lui.  Segue il passaggio degli americani "Liberatori". Felice Chelli, Dottore veterinario in Scansano che aveva sposato Angela Valle, cugina di Silvano, credendo di fare cosa utile, conduce ufficiali e soldati americani nel palazzo Valle di Via della Botte per potere incontrare  lo zio Concetto che parlava bene la lingua inglese (avendo egli vissuto in Sud Africa) e chiedergli delle informazioni . L'ingresso degli americani in casa  si rivelò nefasto. I soldati saccheggiarono le stanze del palazzo. Furono rubati tutti i gioielli di nonna Giselda ( compresi quelli provenienti dalla famiglia Ademollo Lambruschini,  il cofanetto fu aperto con un colpo di baionetta), trafugarono il medagliere di famiglia con le medaglie conferite dal Parlamento Italiano al Deputato Angelo Valle, relativamente alle varie  legislature , più molte foto di famiglia che si trovavano in bellavista ed altro. Successivamente questo fatto non fu mai denunciato. Il giorno 22 luglio 1950  verrà conferita a Silvano Valle la Croce al merito di guerra per la partecipazione alle operazioni belliche dal 1940 al 1943. Poi il 12 agosto 1953 sarà decorato con medaglia di Bronzo al Valore Militare dal Ministro della Difesa Randolfo Pacciardi con la seguente motivazione:
 " Comandante di compagnia, dava prova in numerosi combattimenti, di ardimento e di audacia. Nell'assalto ad una quota difesa strenuamente da notevoli ed agguerrite forze nemiche, si lanciava alla testa dei suoi uomini, raggiungeva per primo la posizione e ne cacciava il nemico a colpi di bombe a mano, infliggendogli dure perdite." - Mirna Pec (Slovenia), 8 novembre 1942 -
La storia d'amore con Maria:  durante quel periodo (1941/1943) vissuto in Slovenia, soprattutto a  Mirna Peč , Silvano Valle non trascurò la sua disposizione verso l'amore e il suo interesse per le donne. A quel tempo era ancora celibe e neppure fidanzato. Conobbe Maria, una di quelle bellezze slave ma anche una bellezza da definire "Mediterranea"; una di quelle ragazze con tutte le caratteristiche giuste per far innamorare un uomo. E infatti così fu; nacque tra loro un grande amore, passionale,  corrisposto reciprocamente, almeno fino a quel fatidico 8 settembre del 1943, quando il rapporto dovette interrompersi per forza maggiore. Come abbiamo detto sopra Silvano dovette fuggire attraverso i boschi per rientrare in patria . Maria fu di conseguenza abbandonata al proprio destino; avrà sicuramente rischiato la morte o subito ritorsioni per avere collaborato con lo straniero invasore, in questo caso un Ufficiale italiano. Comunque quando babbo Silvano rientrò a Scansano Maria era ovviamente nel suo cuore.  Nella Vecchieschi era una bella e prosperosa ragazza che aveva 21 anni meno di lui ;  l' aveva tenuta sulle ginocchia quando era piccolissima. Lui trovò che assomigliasse tanto a quella ragazza slovena da lui amata di nome Maria. Questo fece scattare la scintilla per cui iniziò il corteggiamento verso quella ragazza di paese, di rara bellezza,  genuina, sprizzante di giovinezza. Silvano era senza dubbio un uomo di grande fascino con tante doti ed esperienza, capace di far girare la testa a molte donne ( tante ne aveva avute nel suo passato e lo dimostrano le numerose lettere, cartoline, biglietti con frasi passionali e di amore che fanno parte dei documenti di famiglia) architetto, ricco e di una famiglia ritenuta tra le più importanti e abbienti di Scansano. Quella ragazza di paese non poteva che innamorarsene. Lei proveniva da una sana e onesta famiglia , la sorella Ismene aveva sposato il Dr. Marino Sabatini, medico veterinario che poi divenne il titolare dell'Esattoria di Scansano. La mamma  Giuseppa Corridori in Vecchieschi gestiva una trattoria molto frequentata dove si offriva una cucina tradizionale genuina e prelibata. Nonna Beppa (come la chiamavamo in famiglia) era un donna intelligente che nonostante avesse frequentato solo le prime classi elementari sapeva leggere e scrivere correttamente e con disinvoltura, cosa rara a quei tempi dove, soprattutto nelle campagne e nei paesi, la maggior parte delle persone era analfabeta. Giuseppa aveva sposato Idilio, un uomo semplice che faceva il carrettiere, in proprio, oggi si chiamerebbe padroncino, solo che invece del camioncino aveva carro e cavalli e lavorava soprattutto con le vicine miniere di Cerretopiano.  Silvano e Nella  si sposarono, in Scansano, con cerimonia religiosa,  il 5 luglio del 1948. Andarono in viaggio di nozze nella Riviera Ligure, a Rapallo ( una foto li ritrae raggianti di felicità) . Ecco che nacquero Elisabetta, Goffredo e poi Raffaello. Da un racconto molto scarno  fattomi da mia mamma ho saputo che un giorno (non conosco la data e non so se io fossi già nato) sentirono bussare al portone della casa di Scansano dove abitavano, sicuramente in Via della Botte; aprirono e si trovarono davanti una ragazza che chiedeva di vedere Silvano; quella ragazza era Maria, la slovena; era venuta in Italia dopo aver passato varie peripezie, a ricercare il suo grande amore. La delusione deve essere stata enorme quando dovette constatare che il suo Silvano aveva ormai formato una famiglia. Cosicché si vide costretta, suo malgrado, a riprendere la strada di casa; sarà stato altrettanto grande il dispiacere che avrà provato babbo Silvano in quel triste quanto imbarazzante momento. Perciò Il 5 luglio 1948 , a quarantacinque anni  di età, Silvano aveva sposato, a Scansano, la venticinquenne Nella Vecchieschi. Da questo matrimonio, come ho sopra detto,  nasceranno Eisabetta il 5 dicembre 1948, Goffredo il 18 febbraio 1951 e Raffaello il 4 settembre 1955. Sua madre Giselda alternava soggiorni nel palazzo di famiglia di Scansano con quelli di una suite del prestigioso Albergo Bastiani di Grosseto. Durante il breve tempo che l'ho vista viva ho qualche ricordo di lei ma ovviamente riguarda gli ultimi quattro anni della sua vita per esempio quando quasi tutte le  Domeniche, con babbo mamma ed Elisabetta ( Raffaello non era ancora nato),  andavamo proprio a farle visita all'Albergo Bastiani. Me la ricordo nonna Giselda  quando austera, appoggiata al suo bastone, scendeva lo scalone coperto da una sfavillante guida rossa con l'eleganza ed il portamento che la distinguevano. Pranzavamo tutti insieme nella annessa sala da pranzo del rinomato ristorante dell'albergo. Il cuoco ( oggi si direbbe "Lo Chef") si chiamava Napoleone e vestito di bianco portava il tradizionale copricapo ; la sua cucina era eccellente e famosi i suoi tortelli maremmani dal sapore indimenticabile.  Giselda Ademollo Lambruschini era la nipote dell'illustre pittore risorgimentale Carlo Ademollo, il quale quando lei, la sorella Rita e il fratello Raffaello  persero prematuramente il babbo Luigi Ademollo Lambruschini, stimato ingegnere, ne fece le veci occupandosi del loro futuro. Ma il fratello del suo bisnonno materno Camillo Lambruschini era quel Raffaello ( Genova 14 agosto 1788 - Figline Valdarno 8 marzo 1873), pedagogista, Senatore del Regno di Sardegna e d'Italia presidente dell'Accademia dei Georgofili, Arciconsole dell'Accademia della Crusca, Professore di Pedagogia e Antropologia, anche nipote del famoso Cardinale e Segretario dello Stato Vaticano Luigi Lambruschini che per un solo voto non fu eletto Papa; inoltre Raffaello Lambruschini fu tra i più attivi partecipanti alla multiforme attività del Gabinetto Viesseux. I rapporti, poi consolidati da sentimenti  di amicizia e di affetto, intercorsi con la famiglia Viesseux, continuarono anche da parte di nonna Giselda e babbo Silvano; io stesso sono stato ospite, insieme a mia mamma e mia sorella, in più occasioni, in Firenze, a casa della signora Giulia Viesseux che voleva un gran bene alla nostra famiglia  e non esitava a dimostrarcelo, finché visse. Giselda Ademollo Lambruschini morì a Scansano, a ottantuno anni, il 24 giugno 1955, pochi mesi prima che nascesse il terzogenito Raffaello. Silvano era molto legato alla figura della mamma e la perdita fu da lui molto sentita. Oltre al dolore per la morte di un familiare così importante ( di mamma ce n'è una sola e questo vale per tutti) la tassa di successione sui beni immobili ereditati  fu onerosissima: circa sette milioni di lire . Nel '55 erano tanti, troppi soldi  per essere pagati  senza provocare gravi ripercussioni economiche e compromettere il futuro del bilancio familiare. I due fratelli Silvano e Gualtiero dovettero affrontarne le conseguenze ma soprattutto Silvano, quale figlio maggiore, come solito, godendo della fiducia delle banche per la sua nota solvibilità, si trovò ad assolvere in prima persona a quell'adempimento, ricorrendo al credito bancario ed altro. Proprio per la sua rettitudine e affidabilità fu Presidente della Banca Popolare di Scansano poi Banca Popolare della Maremma con sede a Massa Marittima ( divenuta in seguito  Banca Popolare di Novara). Fu Presidente del Patronato Scolastico di Grosseto. Fu anche Presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di Grosseto. Erano tutte cariche onorifiche che egli ricopriva senza trarne alcun vantaggio per le quali allora non veniva corrisposto alcun compenso, anzi doveva provvedere a pagarsi gli eventuali spostamenti di tasca propria. Partecipò, quando fu possibile, alle annuali  Adunate nazionali degli Alpini; nei giorni dal 23 al 25 aprile del 1955, a Trieste,  c'ero anche io, insieme a mamma, allora incinta di Raffaello;  ricordo la gioia di babbo nel partecipare al canto dei cori alpini e io stesso cantavo con loro una delle canzoni che rappresenta al meglio l'orgoglio alpino: "Sul cappello, sul cappello che noi portiamo c'è una lunga, c'è una lunga penna nera, che a noi serve, che a noi serve da bandiera.....". In quelle occasioni tutti  i soldati ritrovavano lo spirito corporativo rievocando tutto quello che c'era stato di positivo, nonostante le tragedie della guerra, durante la loro esperienza militare. Era anche un momento di grande solidarietà nazionale e di intensa aggregazione. Ritornando alla vita di  babbo posso dire che la sua casa di Scansano fu sempre aperta ad amici e parenti, non mancarono certo momenti di grande convivialità con tavole imbandite e abbondanti portate di cibi succulenti, feste e cerimonie. Silvano Valle era un gran buongustaio ma anche un "Gran mangiatore" e amava la buona cucina; aveva sempre frequentato i più famosi ristoranti delle grandi città:  Sabatini a Firenze e anche “Da Sostanza- il Troia” , "Il Pappagallo" a Bologna, "La Campana" e nel dopoguerra "Da Giggetto" a Roma  e altri; di fronte a certi malesseri il suo motto era "La migliore medicina è una bistecca!". Per molti anni aveva soggiornato per brevi periodi, prima da scapolo in compagnia  dei suoi amici scansanesi e poi con la famiglia, a Montecatini Terme (PT). Frequentava la stazione termale come si dice per "Passare le acque" e depurare così l'organismo dalle scorie accumulate nel mangiare, qualche volta fin troppo abbondante. Probabilmente per lui, visto poi come è andato a finire, quelle acque mentre da una parte risultavano efficaci allo scopo, dall'altra, essendo eccessivamente ricche di calcio, contribuivano alla formazione dei calcoli renali che lo hanno portato alla morte.  Ricordo che finché abbiamo abitato a Scansano (1962), dopo cena, veniva spesso a trovarci per fare un goccetto (un bicchiere di buon vino rosso de "La Banditaccia") il "Sor Giuseppe Santini", un grande amico di babbo; con lui aveva condiviso tante avventure anche galanti; era stato uno degli uomini più ricchi del paese, poi caduto in disgrazia, il poveretto aveva perduto oltre al suo cospicuo patrimonio anche la parola in quanto  aveva subito un intervento chirurgico di tracheotomia ma non aveva perso certo la sua signorilità e l' eleganza con i suoi pantaloni alla zuava e il cappello con penna di pavone . Rievocavano fatti di caccia e scherzi goliardici allora molto in uso tra amici burloni. Uno scherzo ricorrente era quello che babbo faceva quando con l'auto si arrivava di ritorno da "La Banditaccia" o da Grosseto a Scansano e trovava per strada a passeggio l'amico Poldo che era spesso distratto e anche un po' smemorato; abbassava il finestrino e gli chiedeva: "Scusi signore, sa mica se vado bene per Parigi? " All'inizio lui non lo riconosceva, poi, dopo averci pensato qualche secondo, mentre stava per rispondere, capiva e stizzito alzava il braccio come dire: "Ma vai a quel paese!" e tutto finiva in una risata, alla scena era sempre presente l'altro amico Bisio. Poi c'era l'amico Luigi Armelani, sposato con la simpatica signora Nella, di origine rumena, assidua frequentatrice di casa nostra anche dopo la morte del marito. Altro caro amico Alfredo Trimarco (Salerno 24 Aprile 1900- Scansano 1971), persona illuminata, distintosi durante tutta la sua vita, come poeta, drammaturgo, giornalista, scrittore e caricaturista. Era uno degli esponenti del Movimento Futurista, nella Roma degli anni '20, ed a Milano aveva stretto amicizia con l'ispiratore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti, venuto poi a contatto con altri perso­naggi futuristi di spicco come L. Bovio, Le Corbusier, Boccioni, Sant'Elia fino al grande attore e regista  Vittorio De Sica. La famiglia Trimarco ridotta in stato di indigenza frequentava spesso la nostra casa e fu molto presente in tante occasioni rendendosi partecipe di molte nostre vicende familiari.  Un parente al quale babbo Silvano fu molto legato era lo zio Beppino, il Dr.Giuseppe Bandi , detto "Il medico dei poveri" per la sua disponibilità a curare gratuitamente coloro che non si potevano permettere di pagare. Erano cugini di primo grado, figli di due sorelle, Giselda e Rita Ademollo Lambruschini ma Giuseppe era anche figlio del famoso ed illustre scienziato Dr. Ivo Bandi, tra l'altro cofondatore dell'Istituto Pasteur di San Paulo del Brasile. Era un avvenimento quando veniva a trovarci lo zio Beppino e rimaneva nostro ospite nella casa di Scansano. Arrivava con la sua Fiat 1100 Mod. 103, del '56, colore azzurro cielo ( con il faro antinebbia a luce gialla posto al centro della mascherina frontale); la posteggiava nello slargo di fronte al portone di ingresso del palazzo di Via della Botte n.8/10. Poi con la sua affabilità, il suo buon umore si presentava a noi ragazzi gioiosamente dimostrandoci tanto e  sincero affetto e  noi  gli volevamo un gran bene. Ed erano altrettanto piacevoli i momenti in cui noi andavamo a trovarlo all'Isola D'Elba ed eravamo suoi ospiti in Portoferraio. Lui con la carissima Carlotta Damiani, sua moglie ed il piccolo Ivo, loro figlio, venivano al porto ad aspettarci alla discesa della nave e in carrozzella, tirata da due cavalli, ci portavano a casa loro dove l'accoglienza era eccellente. Un'altra parente della famiglia Bandi molto amata da babbo Silvano era la zia Sestilia detta "Pilucca" per il suo modo di mangiare, come si fa con l'uva : piluccare. Era la tanto amata  sorella di quel Giuseppe Bandi, valoroso garibaldino, scrittore e giornalista, fondatore del quotidiano "Il Telegrafo" morto assassinato a Livorno,  per difendere il libero pensiero, mentre in carrozza si recava come ogni mattina alla sede del suo giornale. Babbo Silvano, per l'affetto che le portava, volle che la zia Sestilia, morta il 6 febbraio del 1935, fosse  sepolta nel Cimitero di Scansano nella nostra cappella di famiglia. La zia Sestilia è anche citata,  insieme al fratello Giuseppe, dallo scrittore grossetano Luciano Bianciardi nel suo romanzo "La Battaglia Soda". Un'altra occasione di grande gioia per la nostra famiglia era quella in cui venivano a farci visita da Roma  la zia Fanny ( la vedova del Generale di Corpo d'Armata Raffaello Ademollo Lambruschini, fratello di nonna Giselda) con la figlia Mirella ed il marito Giacomo Griffaldi, ambedue medici. Ci portavano sempre dei doni oltre ai libri, dolci prelibati o confezioni di cioccolatini, molto graditi da noi ragazzi. La zia Fanny era stata  dirigente scolastica ed aveva grande dimestichezza con i giovani; si sapeva fare amare ed era un piacere rispondere alle sue domande ( si interessava tanto dei nostri studi e del nostro futuro) e sentirla parlare con quel suo accento veneto ( proveniva da Feltre in Provincia di Belluno); non risparmiava poi lodi e apprezzamenti espresse nei nostri confronti. Quando poi andavamo a Roma l'ospitalità veniva largamente ricambiata; allora era ancora vivo zio Giacomo, signorile nell'aspetto e nei fatti, sempre affabile, elegante  e la carissima zia Fanny ci copriva di attenzioni. Quando iniziai a frequentare la loro abitazione questa si trovava  in Piazza Farnese, al n.42, in un imponente palazzo storico, angolo di Via de' Baullari; l'appartamento lussuosissimo aveva le pareti coperte da pregiati affreschi rinascimentali così era anche il grande scalone ( mi ricordo che in alcuni giorni in cui mi trovavo lì all'interno del palazzo stavano girando un film). Era una casa museo dove si avvertiva una certa  suggestione ripagata dalla visione di tanta bellezza.  Successivamente l'intera famiglia Ademollo Lambruschini e Griffaldi si trasferì in Via Angelo Poliziano, n.71, all'ultimo piano ( qualche anno dopo la morte dello zio Raffaello) . Continuammo comunque periodicamente a fargli visita.  Dalle finestre di questo nuovo appartamento si godeva un panorama  memorabile sopra i tetti di Roma: sembrava di poter toccare le statue dei Santi soprastanti la facciata della Basilica di San Giovanni in Laterano, tanto sembravano vicine (in effetti non lo erano). Memorabili anche i momenti in cui andavamo a trovarli nella loro fattoria di campagna, vicino ad Artena, nel periodo in cui vi si trasferivano da Roma. Nei tempi passati anche lo zio Raffaello era stato molte volte ospite in Scansano a casa nostra. Me lo ricordo appena ( quando è morto non avevo ancora tre anni di età) ma comunque vedo ancora la sua figura imponente, in piedi, con il suo barbone, nella grande cucina con un tavolo lunghissimo con il piano in marmo bianco, con la sua tazza di caffelatte in mano a far colazione, il suo vocione. Soggiornava da noi durante le battute di caccia che amava tanto fare nella zona. Infatti morì durante una di queste. Lo scansanese  "Sgaralla", suo fedele accompagnatore, fu presente al momento della sua morte, avvenuta il 22 novembre 1953; raccontò che Raffaello, quel giorno, a caccia  (sicuramente al cinghiale) nei pressi di Talamone, sul colle soprastante l'attuale Cimitero, immerso nella macchia mediterranea, fuori dal paese, essendo stremato dalla fatica,  si volle sedere tenendo il fucile verticale e appoggiandoci la testa, reclinandola. In quella posizione spirò. In quel luogo fu eretto in suo ricordo un cippo marmoreo con epitaffio: "La morte lo colse in piedi, tra i mormori pini e le attonite stelle" In realtà la morte lo colse seduto. La sua salma riposa nel Cimitero di Scansano nella nostra Cappella di famiglia. Nella stessa cappella sono anche sepolte la moglie Emma Cima alias la zia Fanny e la figlia Adelina alias la zia Mirella (16 maggio 1913 - 16 maggio 1997). A parte tutto quelli sono stati giorni davvero felici in cui babbo Silvano godeva di un po' di serenità, soddisfatto di mantenere rapporti di così profondo affetto con i nostri amati parenti. Le visite degli stessi  parenti venivano comunque condivise anche con lo zio Gualtiero  e la zia Argene Sandrelli nonché con i  nostri carissimi cugini Pietro e Sergio. E' ancora vivo in me il ricordo della visita a Scansano di zia Mirella, giunta da Roma in compagnia di  un'amica, una elegante, bella e distinta donna, nubile, più o meno sua coetanea (lei aveva 47 anni) , in occasione delle eclissi solare di  tipo totale del 15 febbraio 1961. Quello fu un giorno memorabile, evento unico nel XX secolo; babbo Silvano fece da accompagnatore e c'ero anche io quando ci portammo nel punto più alto del paese, in località "Gli Olmi", là dove un tempo si tenevano le tradizionali Fiere paesane. Il momento dell'eclissi fu veramente suggestivo:  mentre la mattina alle ore 8.40 il cielo si oscurava fino a diventare notte fonda, si udivano i latrati dei cani e poi i canti del gallo; noi con lenti scurissime seguivamo il progredire dell'eclissi. Motivo di conversazione era anche il fatto che a pochi Km. dal nostro paese, in Maremma, a Roccastrada, stavano girando la scena della crocifissione per il film "Barabba" di Richard Flischer. La zia Mirella e la sua amica si trattennero qualche giorno, nostre ospiti in Scansano; successe che la stessa amica fece molti apprezzamenti nei confronti di babbo Silvano (anche di fronte a me, non avevo ancora compiuto dieci anni). Si sentiva attratta da quell'uomo che seppure un po' provato nel fisico, da poco uscito dall'esaurimento nervoso, aveva ancora fascino da vendere. Pertanto lei dimostrò un certo interesse verso di lui facendo intendere di volerlo rivedere a Roma ma lui rimase indifferente e cortesemente rifiutò le "Avances".  Facendo un passo indietro, nel dicembre del 1958, Silvano e Gualtiero, i due fratelli, per far fronte ai debiti occorsi per pagare i diritti di successione, si videro costretti a vendere il Podere denominato "L'Imposto", costituito da un appezzamento di terreno di circa 15 Ettari con casa colonica, vigneto ed uliveto,  per la cifra di Lire 4.000.000.  Nel 1961 a nome di Nella Vecchieschi viene comprata una cantina dal cognato Gualtiero Valle al prezzo di 70.000 Lire. Nel  1962, spronato dalla moglie Nella e dalle sopravvenute esigenze familiari , Silvano decide di acquistare un appartamento di nuova costruzione di circa 110 mq., al secondo piano  (al costo di Lire 3.700.000; pensiamo che 7 anni prima erano stati pagati per diritti di successione ben 7.000.000 di Lire ), in Via U.Giordano n.26, a Grosseto ( Lo stesso dove poi morirà). La famiglia si trasferisce così nel capoluogo. Fu una scelta giusta che permise a noi  figli di potere seguire senza disagi i rispettivi corsi di studi. Elisabetta conseguirà il Diploma Magistrale che le consentirà di insegnare alla Scuola Materna di San Francesco fino all'età pensionabile. Goffredo e Raffaello si diplomeranno all'Istituto Tecnico per Geometri  V. Fossombroni, allora in Via Latina e si avvieranno, appena diciottenni, rispettivamente ambedue al lavoro. Ricordo  comunque con piacere  l'assiduità con la quale il mio  babbo frequentava e seguiva la nostra Azienda agricola "La Banditaccia" e quando dopo la mietitura che veniva eseguita a mano, con la falce, io lo seguivo nei campi "A spigolare"; poi l'evento della trebbiatura, come fosse stato  un rito che ogni anno si ripeteva nello stesso modo; il mio ruolo era quello di stare al bancone, situato all'ombra di una quercia, a sagomare il filo di ferro per legare le presse di paglia. Ma il vero momento rituale, il  più gradito da tutti, era quello della merenda; quando arrivavano le donne con l'asinello; dopo avere steso, sempre all'ombra della quercia, la tradizionale tovaglia a scacchi bianchi e rossi, svuotavano e distribuivano  il cesto contenente pane, prosciutto, pancetta, pomodori e vino rosso. La pausa consentiva a tutti i presenti di rifocillarsi a volontà per poi continuare ognuno a fare il lavoro che gli spettava. Dalla tanto decantata Riforma Agraria in poi le politiche governative tendevano a penalizzare  i così detti latifondisti favorendo gli assegnatari e i mezzadri. La propaganda delle politiche portate avanti dalla dominante Democrazia Cristiana nel dopoguerra assecondava le richieste delle sinistre, soprattutto "Andava a braccetto" con il PSI "Facendo l'occhiolino" al PCI. La Riforma Agraria si rivelò un fallimento per l'agricoltura della Maremma e produsse tanti danni alla sua economia: furono espropriati migliaia di ettari ( vedi i casi più significativi per consistenza di superficie: la Fattoria di Pomonte, Montepò, La Marsiliana ecc.) con lo slogan scritto sui manifesti appesi ai muri  : "La terra a chi la lavora". In attuazione del loro disastroso programma i piccoli appezzamenti ricavati vennero consegnati ai così detti "Assegnatari" . Succedeva che non rispettando quella che il Codice Civile definisce "Minima Unità Familiare" molti poderi, soprattutto quelli situati in zone montane o collinari, svantaggiate e sassose, non riuscivano a fornire un reddito adeguato a sostenere le famiglie. "Le case bianche simbolo dell'unità familiare" come diceva Amintore Fanfani nei suoi comizi, principale fautore e sostenitore di quella Riforma, presto furono abbandonate e i terreni lasciati incolti ( Fanfani si proclamava acerrimo nemico dei latifondisti poi si dice che latifondista lo diventasse lui stesso con i proventi della politica, nella zona di Arezzo, sua città di origine; ogni volta che veniva rammentato il suo nome  babbo Silvano faceva le corna).  Fatto sta che come abbiamo detto molti degli "Assegnatari", trovatisi in difficoltà, corsero verso le grandi città industriali o espatriarono all'estero. Le case bianche rimasero vuote e i terreni inutilizzati. Successe che coloro che erano stati più avvantaggiati per la zona, per la fertilità della terra, per la migliore disposizione dei terreni alla lavorazione e alla coltivazione con condizioni più produttive e redditizie, espansero i loro appezzamenti comprando a ribasso le case e i terreni abbandonati. Contemporaneamente arrivarono anche  i nuovi predatori; si trattava di  ricchi investitori: imprenditori, commercianti, personaggi politici. Essi pensarono bene di comprarsi la casetta in campagna a condizioni vantaggiose, per farsi le vacanze estive, lontano dal caos delle grandi metropoli o anche per ritirarsi a vita privata. Paradossalmente si ricostituirono così i latifondi. La differenza fu che molti di questi latifondi , nonostante godessero e ancora godano di contribuzioni e aiuti comunitari europei e statali (spesso attribuiti in funzione delle superfici e non delle produzioni) non hanno più teso a fare le produzioni agricole di una volta, nonostante l'evoluzione delle macchine e le tecniche avanzate. Aziende non più con le stalle per l'allevamento di bestiame o dedite a coltivazioni e produzioni intensive ma con piscine e agi provenienti dalla trasformazione dei poderi in ville e casali, anche con destinazioni agrituristiche, con il solo settore della viticoltura in espansione ma spesso solo per motivi autoreferenziali . L'esproprio interessò anche la proprietà de "La Banditaccia Valle". Riguardò superfici destinate al pascolo, essenziali per l'allevamento del bestiame. Come per beffa, dopo qualche tempo dall'esproprio, babbo Silvano dovette prendere in affitto gli stessi terreni che l'azienda aveva perduto con la Riforma Agraria per potere far regolarmente pascolare di nuovo il bestiame presente in azienda, negli ovili e nelle stalle. Arrivò poi il momento inevitabile della divisione tra i due fratelli del patrimonio immobiliare in comune. La divisione interessò anche l'azienda agricola "La Banditaccia"; il fratello Gualtiero vendette dopo poco la sua parte ai Mantellassi, facoltosi imprenditori arricchitisi con le attività alberghiere in Liguria, ad Alassio. L'arrivo dei Mantellassi compromise gli equilibri economici già precari  della parte aziendale di proprietà di Silvano Valle, a quel momento  condotta a mezzadria. Mentre il suo stato di salute stava peggiorando progressivamente e una precoce vecchiaia lo minacciava, rendendolo sempre più debole, impedito anche nei movimenti. A 57 anni circa di età, di fronte ai problemi finanziari che lo affliggevano e alle conseguenze di tutte le vicende negative di carattere economico passate ma anche a causa delle numerose azioni scorrette compiute a suo danno dal fratello Gualtiero che gli addossò troppe responsabilità,  sopravvenne un grave esaurimento nervoso. Dovette ricorrere alla sperimentale cura del sonno, della durata di circa 30 giorni,  presso una clinica privata di Roma. Ne uscì devastato anche nel fisico e la ripresa fu lenta, difficile e parziale. In quelle condizioni si rese necessario il passaggio dalla mezzadria all'affitto. La situazione si aggravò ulteriormente, agli inizi degli anni Sessanta, per l'incidente stradale in cui perse tragicamente la vita Eros Mazzuoli , "Il Capoccia", conduttore dell'azienda "La Banditaccia" .  Il fatto accadde alle porte di Grosseto, sulla SS1, all'altezza del vecchio "Motel dell' Agip": fu schiacciato con la sua Motocicletta Guzzi, durante un sorpasso, tra due autotreni, mentre si stava recando come ogni Giovedì al tradizionale mercato nel capoluogo,  frequentato quasi obbligatoriamente da tutti gli agricoltori maremmani e commercianti operanti in quel settore. Fu una grave perdita in quanto Eros  era una  persona che godeva della massima fiducia da parte di babbo Silvano ed egli sentiva molto  il peso delle responsabilità  che quel vecchio e consolidato  rapporto con la proprietà, divenuto ormai familiare , gli imponeva.  Passarono pochi anni ancora e purtroppo nel 1967 si arrivò alla drastica soluzione di vendere la residua parte dell'Azienda "La Banditaccia" che era costituita da circa 110 Ettari di terreno, due case coloniche di cui un fabbricato a due piani di grande superficie con pertinenze,  "Un villino padronale", una grande stalla ed un annesso agricolo, vigneti, frutteti  ed oliveti . Fu comprata dai figli di Eros Mazzuoli, Fedro e Domenico, ad un prezzo molto inferiore del suo valore reale ( se ricordo bene circa 21.000.000 di Lire). Silvano Valle ne uscì distrutto, umiliato e sempre più ammalato. Nonostante tutto quando il suo amico imprenditore Bianciardi gli tese la mano offrendogli un lavoro da impiegato nella omonima attività siderurgico-commerciale in Grosseto, egli si rimboccò le maniche ed accettò. E pensare che qualche anno prima l'amico Prof. Feola poteva inserirlo come architetto, nel ruolo di insegnante, in una Scuola Media Superiore offrendogli il posto che lui rifiutò.  Comunque arrivò così, con sforzo notevole e grande sacrificio,  alla pensione di vecchiaia che godette ben poco. La sua vita si concluse la mattina, alle ore 7.00, del 9 ottobre 1972; dopo un primo intervento per frattura del femore e poi a distanza di pochi giorni un secondo intervento alla vescica per togliere dei calcoli grossi come ciottoli di fiume che erano stati la causa, non riconosciuta fino allora, di molti dei suoi mali, ne conseguì il blocco renale e la morte. Da uomo ma soprattutto da buon soldato, valoroso e coraggioso, pronto anche al  martirio, quale egli  era, affrontò quelle sofferenze, quel dolore fisico con grande sopportazione, estrema dignità e rassegnazione anche di fronte a medici ed infermieri impietosi e cinici ( "E' un  vecchio!" Dirà il Dr. Sarti, oppure infermieri sorpresi a schernirlo dandogli del tu e scherzando sui propri bisogni fatti inevitabilmente addosso ) ai quali ci opponevamo sia io che mia mamma con tutte le nostre forze, senza però potere fare niente per dimostrare la loro poca sensibilità e incapacità. L'unica cosa che potemmo fare fu quella di portarlo a morire nel suo letto, nella sua casa al secondo piano della palazzina di Via U.Giordano, 26, in Grosseto. Quella mattina alle ore 7.00  c'ero proprio io, da solo,  al capezzale del mio babbo ed ho assistito al suo trapasso: ha chiamato la sua mamma Giselda, il suo cugino Carlo, sembrava li vedesse e gli andasse incontro felicemente; poi ha sorriso ( era ormai tanto tempo che non sorrideva più); in quel momento il suo volto si è improvvisamente disteso e così serenamente è spirato. Quel corpo privo di vita fu vestito, come lui abitualmente avrebbe fatto,  con il doppiopetto scuro, camicia e cravatta, scarpe nere; non provavo alcun dolore nel vederlo lì immobile disteso sul letto ; avvertivo che quella "Scatola" oramai non conteneva più la sua anima. Mi veniva invece da piangere e lo faccio ancora toccando o ritrovando qualche oggetto che in vita gli è appartenuto e mi commuovo perché sento che lì c'è ancora la sua anima. La mattina del funerale avvenne un fatto veramente suggestivo. Un picchetto d'onore mandato dal Distretto Militare di Grosseto a rendere l'ultimo saluto al valoroso Ufficiale, servitore della Patria, dava fiato alle trombe mentre rullavano i tamburi, intanto discendeva dalle scale il feretro sorretto da 6 uomini (tra i quali c'ero anche io); era una bellissima giornata di sole ed il cielo era azzurro e terzo; al momento in cui la bara stava uscendo in strada ed il corteo funebre, con in testa il parroco della Parrocchia del Cottolengo, iniziava a muoversi per andare verso la chiesa, una nuvola solitaria è spuntata sopra di noi e ha versato proprio poche gocce di pioggia, come se fosse un aspersorio che getta dal cielo acqua benedetta , interpretabile come una benedizione divina? Mamma Nella rimase perciò vedova quando aveva 49 anni ma rimase sempre fedele a quel grande uomo a cui aveva dato tre figli e che aveva tanto amato in vita; dimostrò di amarlo anche dopo la sua morte, parlandone continuamente bene e raccontandone con disinvoltura e comprensione molti fatti che conosceva della sua vita, anche quelli legati a storie e avvenimenti che implicavano  altre donne a lui legate (ovviamente verificatisi prima del loro matrimonio). Babbo Silvano fin da quando eravamo piccoli ha voluto trasmetterci l'amore per le arti grafiche e plastiche, per l'architettura, la musica, la letteratura. Quante volte mentre ci trovavamo in viaggio con lui in auto, a memoria, ha declamato poesie ( quella da lui preferita era: "Traversando la Maremma Toscana" di G. Carducci) , citato canti della Divina Commedia, cantato arie di opere liriche. E altrettanto è sempre stato il suo impegno nel farci conoscere, soprattutto durante le visite nelle citta d'arte, alcune opere rappresentative del patrimonio artistico culturale italiano (almeno quelle che per una corretta formazione vanno conosciute fin da bambini) : da "Il David" di Michelangelo e di Donatello, il Giardino dei Boboli , Palazzo Pitti, La Galleria degli Uffizi  di Firenze, a "La Pietà" in San Pietro, "La Cappella Sistina" (dove lui da studente aveva lavorato al restauro), "Le Stanze Vaticane",  l'obelisco con il racconto dell'episodio di "Acqua alle funi!" , "La Galleria Borghese", le fontane di Piazza Navona,  "La fontana di Trevi", in Roma. Sempre nella capitale le visite alle chiese: "San Carlo ai Catinari" (dove si trova sepolto il nostro antenato Cardinale Luigi Lambruschini), "Chiesa del Gesù", "Sant'Apollinare",  "Sant'Andrea della Valle" , "Sant'Ignazio di Loyola", "San Luigi dei Francesi" con le opere del Caravaggio e molte altre.  Questa è la vita di un babbo scritta da suo figlio che forse avrà enfatizzato un po' le sue gesta e il suo operato ma che ha voluto rendere omaggio alla sua memoria, onorandola per i meriti che egli realmente ebbe in vita e volendo mettere in evidenza l'uomo che fu con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Mi chiamarono Goffredo e aggiunsero Fausto e Gino poiché i miei compari erano tifosi l'uno di Fausto Coppi e l'altro di Gino Bartali. Quando avevo più o meno quattordici anni mentre in automobile andavamo da soli verso "La Banditaccia" babbo Silvano mi disse: " Sappi che la vita è dura; purtroppo un giorno te ne accorgerai ed io non ci sarò più". Quel giorno purtroppo arrivò presto ed io però ero già preparato ad affrontare quella vita dura che lui mi aveva annunciato. In effetti, grazie anche al suo avviso, sono riuscito sempre a rendere la mia vita meno dura di quello che realmente è.

Goffredo Fausto Gino Valle Ademollo

(1) Ricordo di avere visto, quando babbo era in vita, il Diploma originale di Architettura e Decorazione dentro la cassapanca situata nell'atrio dell'ingresso ( dove si trova il busto marmoreo di Pietro Valle) della casa di Scansano, in via della Botte n.10. Era insieme ad un progetto esecutivo del prospetto o facciata in travertino, proveniente da Banditaccia, in stile neo-rinascimentale, di via IV Novembre; era eseguito a matita su carta da babbo e poi posto su una tavola di legno ; il progetto fu poi  realizzato intorno al 1930,  cosi' come oggi lo possiamo ammirare. Il Diploma e il progetto e un nudo maschile a carboncino su carta  sono  con mio grande dispiacere   purtroppo scomparsi; non saprei come quando e dove si potrebbe trovare.

 (2) La tragica fine dell'Architetto Mario Ridolfi: uno dei più noti urbanisti italiani, nato a Roma nel 1904 (?), si e' ucciso nel 1984 gettandosi in un canale che alimenta la cascata delle Marmore.
 Progetti e opere di Mario Ridolfi:
Due palazzine ed una biblioteca (1932 - 1935);
Palazzo delle Poste di piazza Bologna (1932 - 1935) razionalismo;
Palazzina Colombo (1935 - 1938) in via di San Valentino 21 insieme con W. Frankl;
La Fontana di Piazza Tacito in Terni ( ante 1937) insieme a Mario Fagiolo
Sopraelevazione villino Alatri (1948 - 1949) in via Paisiello 38 in collaborazione con M. Fiorentino e W.Frankl;
Case - Torri INA di edilizia intensiva in viale Etiopia insieme a Wolfang Frankl, (1950-54); caratteristica la disposizione sfalsata in diagonale dei palazzi (neorealismo architettonico);
Sopraelevazione villino Astaldi (1954-1955) in via N. Porpora 22 in collaborazione con W. Frankl.

(3) Angelo Della Torre "Nasce nel 1903 a Roma. Dimostra subito l’inclinazione per il disegno insieme alla passione per il mondo dell’Arte. Allievo di Duilio Cambellotti. Dal 1921 al 1924 frequenta: l’accademia di Belle Arti di Roma diplomandosi in pittura; la scuola del nudo tramite borsa di studio offerta per concorso dall’accademia di Francia di Villa Medici a Roma; i corsi della scuola libera del nudo (previo esami di ammissione) tenuti dall’accademia di BBAA di Roma; si diploma in decorazione presso la “scuola delle Arti Ornamentali 2 di San Giacomo a Roma. Dal 1934 fino alla sua morte ha lavorato ed abitato nel suo studio in via Margutta. Tra le sue opere si ricordano: 1927 decorazione dell’atrio e del salone di Palazzo Aldobrandini a Roma; 1930, francobollo commemorativo in occasione delle nozze dei principi Umberto di Savoia e Maria Josè; 1939 in occasione del restauro e ammodernamento del Teatro dell’Opea “Costanzi” a Roma, realizza il progetto, l’arredamento e le decorazioni dei salotti d’attesa e spogliatoi annessi alla scuola di danza. Nel 1939 riceve l’incarico per quattro grandi affreschi nel santuario della visitazione a Gerusalemme (Palestina). Dal 1941 al 1943 realizza le Vie Crucis ad Amatrice. Ha collaborato con la Conrad Schmitt Studios di Milwauke (USA) realizzando per loro opere su tela a carattere religioso. Negli anni successivi ha esposto in importanti mostre, e gallerie. Muore nel 2000." Biografia tratta  dal sito web: http://www.onpmi.org/2013/10/angelo-della-torre-via-crucis/