martedì 21 febbraio 2017

La Pala di Grancia perduta ritrovata e di nuovo perduta






"LA PALA DI GRANCIA "
"La Pala di Grancia o Grangia" è un tesoro del XV secolo che fece parte del patrimonio artistico grossetano; più volte sparita e poi ricomparsa. Dopo le giornalate che davano risalto ai buoni propositi dei Sindaci di amministrazioni passate, del sovrintendente ai beni culturali Antonio Paolucci, dei Vescovi, dei Presidenti di Provincia, della direttrice del Museo archeologico e di arte della Maremma  che facevano ben sperare in un possibile acquisto dell'opera e del suo definitivo ritorno a casa, mi chiedo oggi che fine avrà fatto? Si tratta di un pregevole dipinto, forse a tempera, del 1498, in origine su tavola centinata, poi trasportato su tela , che rappresenta "L'assunzione della Vergine in cielo" del pittore senese Benvenuto di Giovanni (Siena 1436-1518) del quale conosciamo altre importanti opere, presenti  sia in Maremma che nel territorio senese. Nel Settembre del 1999 l'allora sindaco di Grosseto Alessandro Antichi annunciò in più di un'occasione che "La  Pala di Grancia " sarebbe tornata a Grosseto (vedi foto allegate). Dalle notizie che ho potuto acquisire vorrei ricostruire approssimativamente l'itinerario dell'opera fino alla sua probabile scomparsa (non mi risulta che né l'amministrazione comunale di Grosseto né altre Istituzioni siano riuscite ad acquistarla): Il dipinto si trovava in origine nell'altare del convento della Tenuta di Grancia o La Grangia, situato alle porte della città di Grosseto in direzione Sud . La Tenuta era a quel tempo di proprietà dell' Ospedale della Scala di Siena. Sappiamo da C.A Nicolosi ( in Italia Artistica, 1910) che in quel luogo, fino al 1739,  esistette un Convento di frati francescani da qualche anno venduto (il riferimento è al 1910). Il convento era sorto intorno al 1482 (vedi NOTA 1) e sicuramente fu nel momento del suo massimo splendore (1498) che fu commissionata l'opera a Benvenuto di Giovanni, pittore molto attivo e apprezzato nell'intero territorio senese. "La Pala di Grancia" sparì misteriosamente, quasi certamente fu venduta, alla fine dell' Ottocento. Sempre il Nicolosi scrive (Italia Artistica,1910) che il Perkins riconobbe la tavola di Grancia nella collezione dell' antiquario fiorentino Elia Volpi, pubblicò una fotografia (vedi foto allegata) e  "Per quanto si può giudicare dalla fotografia e malgrado il deterioramento che essa ci rivela, dovuto all'abbandono in cui giacque prima che il suo proprietario se ne disfacesse...." poi aggiunge che il quadro debba attribuirsi a Girolamo di Benvenuto (1470-1524), figlio di Benvenuto di Giovanni, poiché presenta molte analogie con l'affresco di Torrita e la tavola di Montalcino, opere attribuite allo stesso autore.  Comunque poi il  Perkins sciolse ogni dubbio sulla paternità de "La Pala di Grancia" affermando che  il Volpi l'aveva sottoposta ad un profondo restauro durante il quale era comparsa la firma di Benvenuto e la data 1498. Si ipotizzò allora che forse il figlio Girolamo (ritenuto anche l'autore di una Pala dello stesso soggetto molto simile che si trova in Provincia di Grosseto nel convento in località La Selva di cui alleghiamo foto) avrebbe partecipato solo come aiuto. Per qualche anno non se ne ebbe più notizie . La ritroviamo a Roma, in vendita sul mercato antiquario, proveniente dal  Metropolitan Museum di New York; sarebbe stata lì dal lontano 1910 fino al 1975 ma anche oltre, come dono della Banca Morgan. Viene così alla luce che il Volpi aveva venduto il dipinto restaurato al famoso Banchiere Pierpont Morgan, dopo la visita del Perkins e contemporaneamente o quasi alle notizie scritte dal Nicolosi e successivamente lo stesso Morgan l'aveva donato al Museo . A New York il dipinto sarebbe stato trasportato dalla tavola su tela (intervento certamente discutibile e criticabile). La gallerista di origine aretina Ida Benucci è l'ultima proprietaria de "La Pala di Grancia" che conosciamo. In un' intervista rilasciata ai  giornalisti del quotidiano il Tirreno  asserisce di averla acquistata da un ramo della famiglia reale inglese la quale a sua volta l'aveva comprato negli Stati Uniti dopo che il Metropolitan Museum di New York l'aveva dismessa, nel 1978.  Il Prof. Aldo Mazzolai ( 1923-2009),  illustre studioso, affermò di avere visto ricomparire la Pala dell'Assunzione in un negozio antiquario in via del Babbuino a Roma nel 1984(in quell'occasione Mazzolai si dovette scontrare anche con Vittorio Sgarbi, forse per via di diverse opinioni sull'attribuzione); sicuramente si tratta della galleria di cui parla successivamente Ida Benucci in un' intervista al quotidiano L'Unità . Dopo qualche anno, nel 1991, l'opera sarebbe stata vista a Firenze, alla mostra dell'antiquariato di Palazzo Strozzi, durante la quale fu riconosciuta dalla Dr.ssa Roberta Ferrazza, studiosa ed esperta della collezione Volpi.  Agli inizi del 1999 il dipinto fu esposto per circa venti giorni nella galleria romana della Benucci (forse in via Giulia?)  e poi, nel mese di maggio, alla Biennale di Torino. E' proprio nel Settembre del 1999 che a Grosseto ci si adopera per riportare "La Pala di Grancia" in città. Il Vescovo Giacomo Babini parla di "Un atto di giustizia" il Sindaco Alessandro Antichi raccoglie l'appello del sovrintendente Antonio Paolucci; il presidente della Provincia Lio Scheggi appoggia l'iniziativa e così pure la direttrice del Museo archeologico e d'arte della Maremma Maria Grazia Celuzza. La Benucci chiese 140 milioni di Lire , cifra da considerarsi equa, anzi direi un prezzo di favore, e dichiara: " In questo momento l'opera non si trova nella mia galleria, ma è a casa mia. Il dipinto è in ottimo stato, i colori sono molto belli e quando l'ho visto me ne sono innamorata e l'ho acquistato per riportarlo in Italia. Per quanto mi riguarda non lo venderei mai ad uno straniero e credo che sarebbe il massimo se potesse tornare nella sua terra di origine".  L'antiquario fiorentino, di origine grossetana, Gianfranco Luzzetti, a quel tempo, mise a disposizione, come contributo, la somma di 10 milioni per l' immediato acquisto dell'opera  (Luzzetti è anche protagonista di un'annosa vicenda, un'odissea, tuttora  nel 2016 ancora in corso  che lo vede nelle vesti di donatore e benefattore per avere offerto alla città di Grosseto la sua preziosa e ricca collezione di dipinti antichi, chiedendo in cambio  solo una sede adatta per ospitarli ). Tutto questo teatrino di consensi e chiacchere sembra  non avere portato a nessuna conlusione concreta. Nonostante le  buone intenzioni di Ida Benucci per ricondurlo a Grosseto il quadro rimase di  sua proprietà . Probabilmente non ci fu la reale volontà di concludere quell'affare; non c'era e non c'è tuttora abbastanza interesse e sensibilità per iniziare azioni di recupero del patrimonio storico-artistico scomparso, attraverso i secoli, da Grosseto e dalla Maremma anche nel rispetto della memoria storica del territorio. Si tratta di un patrimonio disperso consistente.  Vorrei citare in proposito un articolo denuncia del Prof. Aldo Mazzolai, oggi defunto, pubblicato in data 8 Aprile 2006 dal quotidiano Il Tirreno:
GROSSETO.Depredati di centinaia di opere d'arte
di Claudio Bottinelli
IL TIRRENO 08-APR 2006, GROSSETO
II professar Mazzolai denuncia la scomparsa di moltissimi quadri e reperti antichi
GROSSETO. La città di Grosseto non è mai stata ricchissima di opere d'arte, ma è anche vero che è stata depredata nel tempo delle sue opere d'arte più belle e, nel corso dei secoli anche delle sue campane, visto che ne mancherebbe almeno sedici all'appello». E' battagliero, e vorrebbe tanto riaverle a Grosseto quelle opere d'arte, il professor Aldo Mazzolai, 82 anni, già professore al liceo scientifico e al classico, insegnante di storia dell'arte e di lettere, archeologo e direttore per decenni del museo archeologico di Grosseto che ha contribuito a ricostruire nella sua veste attuale, l'uomo che quando "Roselle era silenziosa", quando cioè era ancora quasi dimenticata, come scrisse il professor Massimo Pallottino, spronò alla sua riscoperta.
«Sono almeno duecento - nota Mazzolai - le opere d'arte elencate da Alfonso Ademollo fra quelle esistenti in città nel 1894, delle quali non si sa più nulla. Semplicemente sono sparite. Per alcune si conosce come furono alienate o portate via, e non sono più qui. Senza parlare dei reperti archeologici, etruschi e romani, che sono spariti a migliaia».
Mazzolai si infervora e rincara la dose: «Ma lo sa - ci dice -che a Grosseto di fatto sono spariti due musei, quello archeologico e quello d'arte che erano ospitati nell'attuale palazzo municipale? Addirittura sono sparite intere collezioni egizie che erano al museo, i cui pezzi sono finiti chissà dove, forse nelle sale di qualche famiglia grossetana?»
Ricorda l'immediato dopoguerra, il professor Mazzolai, quando assieme a Luciano Bianciardi, riordinò quel che restava di museo e biblioteca: «Trovammo di tutto, perfino indumenti intimi femminili- ricorda - però mancavano tanti "pezzi" finiti chissà dove».
Una storia in parte ricostruibile quella dei tesori che Grosseto non ha più.
«Nel 1927, per esempio, - cita il professor Mazzolai - l'allora podestà di Grosseto fece una trattativa con un antiquario di Genova dando quattro pitture a fondo d'oro del Quattrocento in cambio di un sarcofago che oggi è al museo e che era stato ritrovato nei pressi di fetia. Un cambio scellerato, visto che il sarcofago, oltretutto, era già nel museo! E l'anno dopo sempre il Comune vendette a un privato oggetti archeologici e altro, e per poco non finivano in quella vendita anche i seicenteschi studi per sculture di B.Mazzuoli che oggi sono al museo d'arte sacra».
Emblematico il caso della "Assunzione" di Benvenuto Di Giovanni che era nel Monastero di Grancia e sparì sul finire dell'Ottocento per ricomparire nelle sale del Metropolitan Museum di New York. «Attorno a questo dipinti di grande pregio, ricorda Aldo Mazzolai, ci fu uno scontro fra me e il critico d'arte Vittorio Sgarbi Era il 1984 e quella "Assunzione" ricomparve nel negozio di un antiquario a Roma, in via del Babbuino. Mi fu dato torto, e oggi non so più che fine ha fatto».
L'Addimandi scrive che nel 1865, il canonico Chelli donò al museo 158 quadri di sua proprietà. Di molte - dice Mazzolai - si è persa la traccia.
Cosa potrebbe essere fatto? «Difficile a dirsi - riflette Mazzolai - ma una cosa è certa: bisognerebbe innanzi tutto ricostruire, dai documenti, l'elenco di ciò che Grosseto ha avuto, che era suo e che non c'è più, e seguirne quindi le tracce, se è possibile».
L'arrabbiatura di Aldo Mazzolai, quando parla di ciò che è "sparito" non si ferma ai dipinti e alle sculture. Anzi, pensando agli oggetti archeologici, s'infiamma: «Il primitivo museo, di fatto, - dice - fu venduto, e perfino il Frontone di Talamone, che sarebbe spettato a Grosseto, è finito a Orbetello, insieme a tanti altri oggetti che con la compiacenza delle Sovrintendenze sono finite sulle rive della laguna o in altri musei della Toscana». Poi ci sono i furti, tipo quello famoso della collana che i ladri portarono via nel 1957, quando il museo archeologico era ancora in via
Mazzini: un ladro si fece chiudere dentro, poi aprì ai compagni e fecero man bassa».
E ci sono stati, e ci sono ancora purtroppo, i clandestini che scavano le tombe. E' un esperto in questo settore, il professor Mazolaì, visto la sua lunga attività come direttore del museo archeologico, in anni nei quali gli scavi clandestini erano ben più fiorenti di oggi
«Si era arrivati - ricorda Mazzolai - a vendere una tomba prima ancora che fosse scavata. A scatola chiusa. Si cercava l'acquirente che pagava una certa cifra e diveniva proprietario, e una volta fatto lo scavo clandestino, di quasi tutto quello che c'era».
Non mancano aneddoti anche curiosi, su questo fronte: «La sfinge che oggi è al museo archeologico - ricorda Mazzolai - riuscii a recuperarla perché, mentre viaggiavo in treno sulla linea per Siena, sentii due persone che confabulavano e parlavano di una statua che stava per essere venduta e che si trovava nella bottega di un barbiere. Scesi in fretta e furia dal treno alla prima fermata, corsi da quel barbiere e mi feci consegnare la sfinge, riuscendo a salvarla».
Storie di malefatte, o dì vendite ufficiali ma con poco senso, che hanno di fatto depredato la città di Grosseto.
Storie di cui si conosce sono qualche traccia. «Sarà difficile, anche volendolo, poter ritrovare tutto quel che è stato portato via. Ma almeno - riflette il professor Mazzolai, chiaramente amareggiato - ci potremmo tentare. Forse qualcosa almeno potremmo recuperare."
Ritornando a "La Pala di Grancia" si hanno di nuovo sue notizie da un articolo di Massimiliano Tonelli pubblicato sabato 26 febbraio 2000:
"E’ esposta in questi giorni, in una delle sale del Complesso Museale di Santa Maria della Scala, una pala d’altare di Benvenuto di Giovanni, datata 1498 e tornata a Siena dopo più di quattro secoli. Grazie all’ VIII Mostra Mercato dell’ Antiquariato di Siena, la pala, di spettacolare bellezza e livello di conservazione, ha avuto l’opportunità di tornare nella sua patria. Grazie alla famiglia Benucci, antiquari romani, la pala resterà per qualche giorno ancora a Siena indipendentemente dalla chiusura della Biennale dell’Antiquariato. Cerchiamo di capire ora la storia dell’opera e il ruolo che ebbe, mezzo millennio fa, lo Spedale di Santa Maria della Scala. Per comprendere l’enorme potenza che l’ospedale più grande del mondo medievale aveva ancora nel ‘400, andiamo a rileggere la storia della pala. Il dipinto di Benvenuto di Giovanni venne commissionato non per la “sede centrale” del Santa Maria bensì per una delle sue Grancie (che erano della fattorie diffuse nel territorio ed utilizzate come serbatoio di provviste e come motore economico e produttivo). La Grancia di Grosseto era una delle più importanti: aveva molto terreno, una infermieria con ventiquattro letti ed una spezieria. Un vero miniospedale distaccato in Maremma. Fu per questa Grancia che venne commissionata l’opera. La vicenda della grande pala fu poi quantomai intricata con percorsi che passarono da Firenze. Napoli, New York e Londra. Ma l’evento fa riflettere sulla potenza di un ospedale che era diventato azienda e che si poteva permettere, grazie a contributi e lasciti, di commissionare opere d’arte monumentali anche per una delle sue filiali."  Voglio far notare che intanto l'opera non arrivò a Grosseto, come ci si sarebbe auspicato, ma a Siena e infatti siccome è credibile che Grosseto e La Grancia siano ancora oggi ritenuti dai senesi  territori dominati,  si scrisse che l'opera dopo più di quattro secoli è tornata a Siena. Di fatto i senesi sembrano essere fermi tra il Trecento e il Quattrocento, quando iniziò la trasformazione dell’originario complesso monastico nella fattoria fortificata Grangia che, in epoca rinascimentale, passò poi alle dipendenze dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena. Ciò spiega anche perché il dipinto venne esposto nel  Complesso Museale di Santa Maria della Scala. Questo senso di appartenenza del dipinto a Siena, nonostante si sapesse bene che La Grancia si trova in Provincia di Grosseto, dimostra che i senesi credono tuttoggi nel perdurare del dominio esercitato da secoli nei confronti della sottomessa Maremma grossetana. Del resto ancora oggi la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'intera  Provincia di Grosseto ha sede a Siena. Inoltre la campana che si trova sulla Torre del Mangia, in Piazza del Campo, a Siena, è frutto di un saccheggio al Palazzo comunale di Grosseto . " ...Finché nel 1336 Puccio di Gualtiero da Magliano, generalissimo al servizio sei senesi , si impadronisce definitivamente della città, alla quale infligge l'estremo oltraggio  dello spianamento delle mura e da cui toglie la maggior campana per innalzarla, emblema di vittoria, sulla Torre del Mangia...". La comunità di Grosseto e le amministrazioni che si sono succedute nel corso dei secoli, o per viltà o per ignoranza, non hanno mai rivendicato la loro campana, neanche simbolicamente, assoggettandosi passivamente alla storica sudditanza da Siena.  Ritornando a "La Pala di Grancia" nel 2006 abbiamo notizia che è ancora di proprietà di Ida Benucci la quale aveva ancora la volontà di venderla; infatti la stessa dichiara che "La Pala di Grancia" sarebbe andata all'asta Il 16 marzo , ed il ricavato sarebbe andato a finanziare un progetto per i bambini del Congo e del Kenia: il Centre hospitalier Mère et enfànt di Kinshasa - il Centro di Monkole - ed il Neema Hospital di Nairobi. Questo progetto sarebbe piaciuto molto a Walter Veltroni, allora  Sindaco di Roma e a Giovanna Melandri (il che è tutto dire). A distanza di circa dieci anni (2016) da queste ultime notizie, di quell' asta non ne conosco l'esito né sono sicuro che ci sia stata. Così non so se effettivamente  il dipinto sia stato venduto e chi potrebbe essere stato l'acquirente. Il fatto sta che ancora una volta, grazie alla cecità e alla insensibilità di tutti i grossetani  verso l'Arte e soprattutto nei confronti della propria identità e delle proprie radici, "La Pala di Grancia" ha ripreso il volo per chissà dove ed io ne ho perso definitivamente le tracce; lo scrivo con grande rammarico e dispiacere.
                                                                                         
NOTA 1) La breve distanza da quello ove viene edificato il convento, rispetto al luogo in cui è l'odierna Fattoria della Grancia, è rappresentata nel disegno esistente (Archivio di Stato di Siena. Ospedale S.Maria della Scala n.1433 . "Grancia di Grossero". Fine sec.XVII- primi XVIII) che raffigura ambedue i complessi: il convento delle Capanne è indicato dalla scritta «S.Maria». L'annalista settecentesco dell'Ordine Francescano, Luca Wadingo, riferisce che nel 1482 il comune di Grosseto costruì alle Capanne di S. Maria, di là dall'Ombrone, un piccolo convento per i frati osservanti del convento della Nave di Montorsaio (Annales Minorum, Roma 1731, vol. XXII, p.103). Il comune di Grosseto prese tale risoluzione dopo che i frati, nel 1479, ebbero il rifiuto alla loro richiesta di trasferirsi in città, nella quale spesso venivano per il loro ministero e per la ricerca delle elemosine, ed in particolare nel monastero dell'Annunziata, abbandonato dalle monache, e la cui proprietà era rivendicata dal  Capitolo della Cattedrale di Grosseto. Una piccola chiesa, dedicata a S.Maria, era presso il convento, e questo «fu sempre sotto la protezione del comune grossetano. Dai libri di memorie e deliberazioni della Comunità di Grosseto rilevasi che i frati osservanti di S.Maria, detti anche di S. Bernardino, ricevevano offerte e sussidi dal pubblico Consiglio grossetano, e che nel 1524 chiedevano denaro per fabbricare nel loro convento. A questi frati era pure affidata la cura del monastero delle clarisse in Grosseto, ma nell'anno 1554 il Consiglio li dispensò dal prestare qualsiasi ufficio spirituale e temporale, riservandosi perfino l'elezione del confessore delle monache. Consta ancora che tra il secolo XV e XVI il convento si era accresciuto di religiosi che vi avevano ancora lo studio per i novizi, ed ospitavano artisti che lasciarono a quei padri preziosi lavori, oggi sventuratamente perduti. Ogni anno i frati intervenivano in Grosseto alla solenne processione del Corpus Domini e si univano coi padri conventuali di S. Francesco. Il Gherardini nella sua visita per la Maremma nel 1676 parla del convento degli osservanti di Santa Maria di là dall'Ombrone della diocesi di Sovana e dice che al suo tempo vi abitavano tre sacerdoti e due laici che amministravano la parrocchia. Circa gli anni 1740 il convento di S. Maria delle Capanne veniva dai monaci abbandonato, e vi fu sostituito un sacerdote secolare col titolo di pievano... Fino da quando la Comunità di Grosseto era padrona del convento degli osservanti di Santa Maria delle Capanne aveva fatto costruire sull'Ombrone un molino detto appunto di Santa Maria. Infatti da una pergamena del 2 dicembre 1519 rilevasi che Giovanni del quondam Vanni di Signorino dei Pecci e Bartolommeo del quondam Ambrogio dei Brizzi, cittadini senesi, ottengono per decreto della Comunità di Grosseto l'uso ed usufrutto di un suo molino posto in corte di Grosseto sopra il fiume Ombrone in luogo detto S. Maria con alcuni patti e condizioni ivi descritti, e detto usufrutto per anni cento giacché si erano esibiti di risarcirlo per renderlo atto a macinare....Nella chiesa esisteva fino dall'antico una tavola pregevolissima rappresentante l'Assunzione di Maria opera di Benvenuto di Giovanni da Siena del 1498...» (A.CAPPELLI '10, pp.58-59). L'abbandono del convento non impedì alla chiesa di essere officiata ancora a lungo: questa è documentata essere in buono stato ed officiata nel 1769, e poi ancora esistente e chiamata “Pieve Vecchia” nel 1774. E poi, e soprattutto, la documentazione ha consentito di apprendere che nel 1788 la chiesa del Convento aveva ancora gran parte dei suoi arredi, sebbene gli agenti della Tenuta della Grancia molti ne avessero trasferiti altrove, ed in particolare nella nuova cappella della fattoria. Di quegli arredi esiste l’inventario, ed in esso è registrato, posto sull’altare di destra, «Un quadro esprimente l’Assunzione di Maria Vergine con altri Santi, e sue cornici dorate». Si tratta evidentemente del dipinto di Benvenuto di Giovanni, che dunque l’inventario attesta proprietà della Chiesa, ancora esistente ed officiata, del Convento abbandonato, dipinto fino ad allora sfuggito agli arbitrari trasferimenti di arredi operati dagli agenti della Tenuta della Grancia. Nello stesso inventario del 1788 è registrato anche «Un Crocifisso grande con due Angioli appresso posti sopra i piedistalli». Questo Crocifisso è ancora esistente nella cappella di Grancia, a testimoniare come in essa siano stati trasferiti beni indubbiamente appartenenti in realtà alla Chiesa del Convento. Documenti presenti nell'Archivio Vescovile di Pitigliano. Inventario dei Benefizi e Legati Pii, Volume VII, Grancia di Grosseto. C.421: "Inventario e notizie relative alla Chiesa , e Fabbrica di S.Maria della Grancia di Grosseto".
                                                                                                              Goffredo Ademollo Valle

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